lunedì 24 ottobre 2011

Father Mine: ultimo Capitolo


CAPITOLO 11:

Un’ora dopo Zsadist era in cantina nella residenza della
Fratellanza, seduto di fronte alla vecchia caldaia a carbone nel
seminterrato. La dannata cosa era un relitto del 1900, ma
funzionava talmente bene che non c’era ragione di cambiarla.
Inoltre, occorreva un notevole sforzo per far bruciare il carbone e
i doggen amavano i lavori regolari. Più cose c’erano da fare e
meglio era.
La pancia della grande caldaia di ferro aveva una finestrella
davanti, una fatta di vetro temprato spesso tre centimetri, e
dall’altro lato del vetro le fiamme si muovevano, lente e calde.
“Zsadist?”
Z si passò una mano sul viso e non si girò sentendo la familiare
voce femminile. In un certo senso non poteva credere di stare per
fare quello che stava per fare, e l’istinto di scappare via lo stava
dilaniando.
Si schiarì la gola. “Ciao.”
“Ciao.” Ci fu una pausa, e poi Mary disse, “La sedia vuota
accanto a te è per me?”
Adesso si girò. Mary era in piedi al fondo delle scale che
portavano in cantina, vestita come al solito, pantaloni color cachi e
una polo. Al polso sinistro c’era un enorme Rolex d’oro, e aveva
piccoli orecchini di perle ai lobi.
“Sì,” disse Z. “Sì, è…grazie per essere venuta.”
Mary si avvicinò, i mocassini facevano un suono staccato sul
pavimento di cemento. Quando si fu seduta sulla sedia da
giardino, la riposizionò in modo da essere di fronte a lui e non alla
caldaia.
Z si passò una mano sul cranio rasato.
Mentre il silenzio si allungava, il suono di una valvola di tiraggio
venne dalla parte opposta della stanza…e qualcuno al piano di
sopra accese la lavastoviglie…e il telefono squillò sul retro della
cucina.
Poi, visto che si sentiva un idiota a non dire niente, alzò un
polso. “Ho bisogno di provare quello che dirò a Nalla quando mi
chiederà di questi. Io ho solo…ho bisogno di avere qualcosa di
pronto da dirle. Qualcosa che…sia la cosa giusta, sai?”
Mary annuì lentamente. “Sì, lo so.”
Z tornò a guardare la caldaia e ricordò di aver bruciato il teschio
della Padrona lì dentro. All’improvviso si rese conto che era
l’equivalente di V che inceneriva il posto in cui era stato fatto del
male a Bella, vero. Non potevi radere al suolo un castello…ma
c’era stata comunque una certa purificazione col fuoco.
Ciò che non aveva fatto era l’altra metà del processo di
guarigione.
Dopo un po’ Mary disse, “Zsadist?”
“Sì?”
“Che cosa sono quei segni?”
Z aggrottò la fronte e la guardò, pensando, come se non lo
sapesse? Ma poi…beh, lei era stata umana. Forse non lo sapeva.
“Sono bracciali di schiavitù. Ero…uno schiavo.”
“È stato doloroso quando te li hanno fatti?”
“Sì.”
“Te li ha fatti la stessa persona che ti ha ferito in faccia?”
“No, l’hellren della mia padrona l’ha fatto. La mia padrona…lei
mi ha fatto i bracciali. Lui mi ha ferito in faccia.”
“Per quanto tempo sei stato uno schiavo?”
“Cento anni.”
“Come hai fatto a liberarti?”
“Phury. Phury mi ha tirato fuori. È così che ha perso la gamba.”
“Ti hanno fatto del male quando eri uno schiavo?”
Z inghiottì con forza. “Sì.”
“Ci pensi ancora?”
“Sì.” Si guardò le mani, che all’improvviso gli facevano male per
qualche motivo. Oh, giusto. Le aveva strette a pugno e stava
stringendo così forte che le dite stavano per staccarsi dalle nocche.
“La schiavitù c’è ancora?”
“No. Wrath l’ha messa fuorilegge. Come regalo per l’unione mia
e di Bella.”
“Che tipo di schiavo eri?”
Zsadist chiuse gli occhi. Ah, sì, la domanda a cui non voleva
rispondere.
Per un po’ tutto quello che riuscì a fare fu di sforzarsi di
rimanere su quella sedia. Ma poi, con tono falsamente calmo,
disse, “Ero uno schiavo di sangue. Ero usato da una donna per il
sangue.”
La quiete dopo che ebbe parlato gravava su di lui, come un peso
tangibile.
“Zsadist? Posso appoggiarti una mano sulla schiena?”
La sua testa fece qualcosa che evidentemente era un cenno di
assenso, perché la mano gentile di Mary gli si posò delicata sulla
scapola. Mary mosse la mano in lenti cerchi.
“Quelle erano le risposte giuste,” gli disse. “Tutte quante.”
Z dovette sbattere le palpebre velocemente mentre il fuoco nella
caldaia diventava indistinto. “Credi?” chiese con voce rotta.
“No. Lo so.”


EPILOGO :

Sei mesi dopo…
“E cosa sta succedendo qui con tutto questo rumore, tesoro?”
Bella entrò nella nursery e trovò Nalla in piedi nella culla, mani
attaccate alla ringhiera, il visino rosso e tirato per il pianto. Tutto
era stato buttato sul pavimento: il cuscino, i peluches, la coperta.
“Sembra che il tuo mondo stia di nuovo per finire,” disse Bella
prendendo in braccio sua figlia che piangeva a dirotto e guardando
le macerie. “È stato per qualcosa che hanno detto?”
L’attenzione faceva solo scendere le lacrime più in fretta e con
più forza.
“Adesso, adesso, cerca di respirare…ti darà più volume…Okay,
hai appena mangiato, quindi so che non hai fame. E sei asciutta.”
Altri urli. “Ho la sensazione di sapere di cosa si tratta…”
Bella controllò l’orologio. “Guarda, possiamo provarci, ma non
so se è già ora.”
Piegandosi, Bella raccolse dal pavimento la copertina rosa
preferita di Nalla, ci avvolse la piccola e si diresse verso la porta.
Nalla si calmò un pochino mentre uscivano dalla nursery e
camminavano lungo il corridoio delle statue verso la grande
scalinata, e il tragitto attraverso il tunnel fino al centro
addestramento fu allo stesso modo relativamente calmo, ma
quando entrarono nell’ufficio e trovarono il posto deserto, il
pianto ricominciò.
“Aspetta, dobbiamo solo vedere se…”
Fuori, nel corridoio, un gruppo di ragazzi pre-transizione
lasciarono lo spogliatoio e si diressero verso l’area di parcheggio.
Era bello vederli, e non solo perché voleva dire che Nalla stava
probabilmente per ottenere quello che voleva: dopo le razzie alle
case della glymera, i corsi per i futuri soldati erano state interrotti.
Adesso, però, la Fratellanza era tornata in attività con la
generazione successiva, solo che questa volta non tutti i ragazzi
erano aristocratici.
Bella entrò nella palestra attraverso la porta sul retro e arrossì
davanti a ciò che vide. Zsadist era là davanti, si stava allenando
con il sacco, i potenti pugni spingevano la cosa indietro fino a
farla pendere a un angolo impossibile. Il torace nudo era
incredibile sotto le luci, i muscoli definiti, gli anelli ai capezzoli
brillavano, il suo corpo di combattente perfetto perfino agli occhi
di qualcuno non esperto come lei.
Da un lato, c’era uno dei ragazzi, completamente pietrificato, una
felpa gli penzolava dalla piccola mano. Il viso mostrava una
combinazione di paura e adorazione mentre guardava Zsadist
allenarsi, gli occhi del ragazzo erano spalancati e la bocca era
socchiusa in un O dato dalla mandibola lasciata cadere.
Il secondo in cui le urla di Nalla echeggiarono nel vasto spazio, Z
si girò di colpo.
“Scusa se ti disturbiamo,” disse Bella oltre le urla. “Ma vuole il
suo papà.”
Il viso di Z si sciolse, risplendente d’amore, la fiera
concentrazione fluì dai suoi occhi e fu sostituita da quello che a
Bella piaceva chiamare la visione Nalla. Venne loro incontro
attraverso i materassini blu, baciando Bella sulla bocca mentre
prendeva in braccio la piccola.
Nalla si sistemò subito nell’abbraccio di suo padre, gli mise le
braccia intorno al collo poderoso e si accoccolò sul torace
massiccio.
Z si guardò alle spalle attraverso la palestra e vide il ragazzo.
Con voce profonda, disse, “L’autobus sta arrivando, figliolo. È
meglio che ti sbrighi.”
Quando si girò nuovamente, Bella sentì il braccio del suo hellren
intorno alla vita e venne tirata al suo fianco. Mentre la baciava
un’altra volta sulla bocca, Z mormorò, “Ho bisogno di una doccia.
Vuoi aiutarmi?”
“Oh, sì.”
I tre lasciarono la palestra e tornarono nella residenza. A metà
strada del tragitto, Nalla si addormentò, così quando arrivarono in
camera loro, andarono nella nursery e la misero nella culla, e
poterono godersi una doccia molto calda, e non solo per la
temperatura dell’acqua.
Quando ebbero finito, Nalla era di nuovo sveglia, giusto in
tempo per l’ora della favola.
Mentre Bella si asciugava i capelli con un asciugamano, Z prese
la piccola e padre e figlia si sistemarono sul lettone. Bella uscì un
momento dopo, si appoggiò semplicemente allo stipite della porta
e rimase a guardarli. I due erano così attaccati che sembravano
essere una sola persona. Z aveva addosso un paio di pantaloni del
pigiama, fantasia a scacchi Black Watch, e una canottiera. Nalla
aveva una tutina rosa pallido con in bianco la scritta La cocca di
papà.
“Oh, i posti dove andrai,” lesse Z dal libro che teneva in grembo.
“Del Dottor Seuss.”
Mentre Z continuava a leggere, di tanto in tanto Nalla dava
colpetti alle pagine con le manine.
Era la nuova routine. Al termine di ogni notte, quando Z tornava
dai pattugliamenti o dalle lezioni, faceva una doccia mentre Bella
dava da mangiare a Nalla, e poi lui e la figlia si mettevano sul letto
e lui le leggeva fino a farla addormentare.
Quindi la portava con cautela nella nursery…e ritornava per l’ora
mahmen-e-papà, come amava chiamarla.
Sia la lettura che il modo in cui aveva preso confidenza a tenere
in braccio Nalla erano miracolosi, e Mary aveva dato una mano
per entrambe le cose. Z e la donna si incontravano una volta a
settimana nella sala della caldaia. I due avevano raccontato a Bella
delle sedute e qualche volta Z le diceva qualcosa di quello di cui
avevano parlato, ma per la maggior parte quello che veniva
discusso rimaneva nel seminterrato, anche se Bella era
consapevole che alcune delle cose che venivano condivise erano
orrende. Lo sapeva perché, dopo, Mary spesso si rintanava nella
camera che condivideva con Rhage e non ne usciva per lungo,
lungo tempo. Ma stava funzionando. Z si stava ammorbidendo in
un modo diverso, un modo nuovo.
Lo si vedeva con Nalla. Quando la piccola gli prendeva i polsi lui
non si tirava indietro, ma lasciava che lo accarezzasse o lo
baciasse sui tatuaggi. La lasciava arrampicarsi sulla schiena
rovinata e le fregava anche il viso contro il suo. E aveva fatto
aggiungere il nome di sua figlia sulla schiena, inciso con amore
sotto quella di Bella dai suoi Fratelli.
Lo si vedeva anche perché i brutti sogni si erano esauriti. Infatti,
erano passati mesi dall’ultima volta in cui era scattato a sedere sul
letto madido di sudore e di paura.
E lo si vedeva nei suoi sorrisi. Che erano più ampi e più frequenti
che mai.
All’improvviso, la vista di lui con la bambina divenne un po’
sfocata, e come se avesse percepito le lacrime, Z la guardò.
Continuò a leggere ma corrugò la fronte preoccupato.
Bella gli soffiò un bacio, e in risposta lui diede un colpetto al
materasso accanto a dove era seduto.
“Quindi…vai per la tua strada!” finì mentre Bella gli si
accoccolava accanto.
Nalla fece un gridolino di felicità e diede dei colpetti alla
copertina del libro che Z aveva chiuso.
“Stai bene?” sussurrò all’orecchio di Bella.
Lei gli appoggiò una mano sul viso e portò la bocca sulla sua.
“Sì. Molto, davvero.”
Mentre si baciavano, Nalla diede di nuovo qualche colpetto al
libro.
“Sei sicura che vada tutto bene?” chiese Z.
“Oh, sì.”
Nalla afferrò il libro e Z sorrise, tirandolo indietro con
gentilezza. “Ehi, che cosa stai facendo, piccolina? Ne vuoi
ancora? Sei troppo…tu…oh, no…non il labbro tremolante…oh,
no.” Nalla fece una risatina. “Oltraggioso! Ne vuoi ancora, e sai
che otterrai quello che vuoi a causa del Labbro. Però, ti rigiri papà
proprio come vuoi, non è vero?”
Nalla emise un gridolino di felicità quando papà riaprì il libro e
la storia uscì dalla bocca di Z ancora una volta, con voce
risonante. “Congratulazioni! Oggi è il giorno…”
Bella chiuse gli occhi, appoggiò la testa sulla spalla del suo
hellren, e ascoltò la storia.
Di tutti i posti in cui era stata, quello era il migliore. Proprio lì.
Con loro due.
E sapeva che Zsadist provava lo stesso. Era tutto nelle ore
passate con Nalla e tutti i giorni in cui allungava una mano tra le
lenzuola per cercare Bella quando erano soli. Era nel fatto che
aveva ricominciato a cantare, e che aveva iniziato a fare la lotta
con i suoi Fratelli, non per allenarsi, ma per divertimento. Era nel
suo nuovo sorriso, quello che Bella non aveva mai visto prima e
non vedeva l’ora di rivedere.
Era la luce che aveva negli occhi e nel cuore.
Era…felice della vita. E lo era sempre di più.
Come se le avesse letto nella mente, Z le prese la mano e la
strinse.
Bella ascoltò la storia e si lasciò cullare, proprio come sua figlia,
sicura che tutto era come avrebbe dovuto essere.
Il loro uomo era ritornato da loro…ed era lì per restare.




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