domenica 30 ottobre 2011

C'ERA UNA VOLTA...IL ROMANZO GOTICO....3a parte

Il romanzo della Shelley presenta tematiche ben piu' profonde rispetto al romanzo gotico tradizionale:  in esso vive l'anima oscura dell'8oo Romantico.
 Lo scienziato Frankenstein e' l'immagine dell'uomo che ha sfidato la natura e Dio stesso, creando un mostro, e che solo davanti al fatto compiuto ha potuto realizzare quanto cio' che egli ha fatto sia orribile, spaventoso, incontrollabile. La "creatura" sfugge di mano al suo creatore, ritorcendosi contro di lui; non perche' la creatura sia o voglia essere malvagia, ma perche' essa e' rifiutata dall'umanita'. Nella creatura, nella sua bruttezza, l'uomo presume di vedere il male. Per l'uomo il mostro e' "diverso", e come tale va emarginato e punito, va eliminato. Il vero male, quindi, e' nell'uomo stesso, e la creatura per certi versi non e' che il suo "doppio", il suo alter-ego, la sua "coscienza infelice". Quando il mostro di Frankenstein chiede al suo creatore di creargli una compagna, ed egli rifiuta, esso risponde con queste parole:
"Sono malvagio perche' sono infelice. Non sono io evitato e odiato da tutta l'umanita'? Tu, il mio creatore, mi faresti a pezzi con piacere; pensa un po' a questo, e dimmi, perche' dovrei aver pieta' dell'uomo piu' di quanta egli ne abbia per me? Se tu potessi buttarmi giu' in uno di questi crepacci di ghiaccio e distruggere il mio corpo, l'opera delle tue stesse mani, questo non lo chiameresti omicidio. Io devo rispettare l'uomo quando egli mi disprezza? Fa' che egli viva con me scambiando gentilezza, e invece di dolore, io gli offrirei ogni beneficio, con lacrime di gratitudine per la sua accettazione. Ma cio' non puo' avvenire; i sensi umani sono barriere insormontabili per la nostra unione. E neppure potro' accettare la sottomissione di una indegna schiavitu'. Io vendichero' le mie offese; se non posso ispirare amore, io causero' paura, e soprattutto verso di te, il mio primo nemico, perche' mio creatore, giuro un odio inestinguibile. Stai attento; puntero' alla tua rovina, e non mi fermero' finche' non avro' fatto deserto nel tuo cuore, cosi' che maledirai l'ora della tua nascita."
Il mostro è la metafora del lato piu' oscuro della coscienza umana, e di tutto cio' che nella sua diversita' genera paura o sgomento, e viene percio' rifiutato. Torna qui inoltre il mito rousseauiano della primitiva innocenza dell'uomo, il cui animo rimane felice e incontaminato finche' non viene a contatto con la corruzione della societa'. La molteplicita' e la validita' di tutte queste chiavi di lettura rendono il romanzo della Shelley una delle pietre miliari dell'arte Romantica, se non forse la piu' pregna e simbolica.
Da quella  famosa sfida letteraria dei quattro nacquero altri racconti minori. Byron genero' La sepoltura, una storia alla quale pensava da tempo, della quale pero' elaboro' solo poche pagine che poi pubblico' nel 1819 con il titolo Un frammento. Il suo segretario nonche' medico personale John William Polidori riprese quelle pagine, ricavandone nel 1819 Il Vampiro, un fortunatissimo racconto che diede il battesimo vero e proprio al filone del cosiddetto "vampirismo".
 Il tema  non era nuovo: Goethe, ad esempio, che giudico' con entusiasmo Il Vampiro, lo aveva gia' affrontato nel 1797, con la sua Braut von Korinth.
 Ma senza dubbio, il piu' alto capolavoro del genere e' stato ed e' tuttora il Dracula del dublinese Bram Stoker (1847-1912), pubblicato nel 1897, quindi in pieno Decadentismo. L'eredita' e il potere del libro furono sensazionali: il personaggio del Conte Dracula entro' con forza nell'immaginario collettivo, divenendo un fatto di costume, un vero e proprio mito della nostra epoca. Il libro di Stoker fu di fatto anche l'ultimo grande romanzo gotico dell'800.
Nato a Dublino l'8 novembre 1847, terzo di sette figli, Abraham Stoker (ma chiamato affettuosamente in famiglia solo Bram), era figlio di un impiegato statale nell'ufficio della segreteria del castello di Dublino. Afflitto fin dalla nascita da grossi problemi fisici, vive un'infanzia solitaria fino ai sette anni, anche se ciò non contribuisce minimamente a scalfire la grande forza di volontà e l'instancabile tenacia, coniugata ad una notevole fiducia in se stesso, che mai lo abbandonarono.
Contrariamente a quanto potrebbe far intendere una certa tradizione che vuole gli scrittori intrisi di cultura umanistica, la sua formazione fu di tipo scientifico, culminata con una laurea a pieni voti in matematica al prestigioso Trinity College di Dublino.
A conclusione degli studi, sviluppa un grande interesse per la letteratura ed il teatro. Tale è la sua passione che arriverà anche a lavorare, seppur non a tempo pieno, addirittura come critico teatrale per il "Mail", acquistando la fama di severissimo stroncatore.
Fra una recensione e l'altra è costretto ad arrotondare con un lavoro più stabile e regolare: quello di impiegato dell'amministrazione pubblica.La frequentazione teatrale gli apre comunque le porte del bel mondo. Conosce così l'attore Henry Irving (famoso all'epoca per l'interpretazione di Frankenstein, personaggio partorito dalla mente della scrittrice Mary Shelley) e lo segue a Londra, diventandone amico e consigliere.
In breve, grazie anche alle sue straordinarie doti dirigenziali e alla sua grande intelligenza, Bram Stoker diventa organizzatore del Lyceum Theatre di Dublino e inizia a scrivere racconti e testi teatrali del tutto conformi alle mode del tempo, sempre in bilico fra l'effetto grand-guignolesco e il feuilleton che imperava sulle riviste popolari.
Pochi sanno che si dedicò in questo periodo (1881) anche alla letteratura per l'infanzia, per la quale scrisse una raccolta di storie per bambini, pubblicata con il titolo di "Sotto il tramonto".
E' con la pubblicazione di "Dracula", il più famoso vampiro della storia (anche se storicamente l'autentico creatore del primo vampiro fu John Polidori), che Stoker ottiene la consacrazione.
Pare che l'idea per il personaggio gli venne osservando proprio il suo amico Irving, sempre pallido, gentile e magnetico come un perfetto vampiro.
Per descrivere il castello di Dracula, Bram Stoker si ispirò ad una fortezza tutt'ora esistente a Bran, nella regione dei Carpazi. Il resto della vicenda, plasmata sul modello del romanzo epistolare e diaristico, fu ambientato nell'Inghilterra vittoriana.
Stoker morì a Londra il 20 aprile 1912 e non potè mai vedere la realizzazione cinematografica delle sue opere.


Fra le sue opere minori vale la pena di ricordare i quattro macabri racconti che poi costituirono "L'ospite di Dracula" (la raccolta uscì postuma nel 1914), "La dama del sudario" (1909) e soprattutto "La tana del Verme Bianco", uscito giusto un anno prima della sua morte.
Altra creatura fantastica partorita dalla fervida fantasia di Bram Stoker, il Verme Bianco è una creatura che vive da millenni nel sottosuolo ed è capace di prendere le sembianze di Lady Arabella, osceno incrocio tra donna e serpente.( da biografieonline)
Malgrado l'affascinante e disturbante soggetto, il romanzo non eguagliò neanche per un istante il successo di "Dracula".

Trama : Questo romanzo è ambientato tra Londra e la Transilvania del secolo XIX.
Inizia con il viaggio di un giovane procuratore legale, Jonathan Harker, per la Transilvania e precisamente in un castello diroccato per incontrare un suo cliente, il conte Dracula, per parlargli dell'acquisto di alcune proprietà immobiliari a Londra. Dopo il suo arrivo al castello il giovane scopre di essere diventato prigioniero del Conte e tramite alcuni indizi (come il fatto che il malefico non mangiasse e non fosse presente durante il giorno), scopre che dietro alla figura di un membro dell'aristocrazia si nasconde un essere malvagio e dopo essersi inoltrato nelle catacombe, scopre delle casse e in una di esse trova il Conte immerso nel suo sonno. Jonathan tenta la fuga in tutti i modi , ma senza alcun successo. Intanto Dracula decide di partire per Londra perchè ormai la Transilvania non gli offre molte vittime.
A Londra vive la futura sposa di Jonathan, Mina che è in uno stato di angoscia per la mancanza del suo amato. Come il giovane legale anche Mina ha un diario stenografato, dove appunta tutto ciò che le succede e in alcuni momenti scrive della stranezza della sua migliore amica Lucy Westenra. Infatti è affetta da sonnanbulismo e una notte arriva fino alle scogliere dove viene posseduta dal Conte, ma Mina che assiste all'evento non capisce di cosa possa trattarsi. Solo quando il Dottor Serward contatta un noto metafisico olandese, Abraham Van Helsig si scopre che Lucy non ha una malattia, ma c'è qualche essere che le succhia il sangue. Infatti lo scienziato individua i morsi del vampiro e cerca di guarire la giovane ragazza tramite trasfusioni, ma senza alcun successo, perchè alla fine Lucy muore. Però Van Helsig sa che è diventata una non-morta e con Serward e altri pretendenti di Lucy, decide di recarsi presso la tomba della defunta per far riposare in pace la sua anima: le tagliano la testa e le conficcano un paletto di legno nel cuore. Intanto Mina si è recata in Transilvania perchè Jonathan è stato trovato presso un convento di suore. I due si sposano e ritornano a Londra e scoprono i terribili fatti accaduti.

Così Jonathan con l'aiuto di Van Helsig e i tre pretendenti di Lucy, cerca di capire dove sia la bara del Conte e alla fine scopre che ci sono diverse bare nella città e provvede alla loro distruzione. Purtroppo il Conte riesce a contaminare anche Mina e per precauzione decide di tornare nel suo castello.
 Per fortuna viene seguito dalla squadra compresa Mina che è in grado di localizzare il Conte.
Lo scontro avviene prima del tramonto e Dracula viene neutralizzato, purtroppo muore il giovane Quincey (pretendente di Lucy). Egli vivrà sempre nel ricordo di tutti perchè lo stesso giorno della sua morte, Mina ha dato alla luce il suo primo figlio frutto del matrimonio con Jonathan e lo ha chiamato Quincey come il defunto amico.





Magia ed esoterismo raggiungono l'apice con Zanoni (1842) di Edward Bulwer-Lytton, e la lotta interiore fra Bene e Male con Lo strano caso del dott. Jeckyll e di Mr Hyde (1888) di Robert Louis Stevenson.

Nato a Edimburgo, Scozia, il 13 novembre 1850, dopo una giovinezza ribelle e in polemica con il padre e con il puritanesimo borghese del suo ambiente, studia Legge, diviene avvocato ma non eserciterà mai la professione.
Nel 1874 i sintomi della malattia polmonare che lo aveva colpito durante l'infanzia si fanno più gravi; inizia una serie di soggiorni curativi in Francia. Qui Stevenson conosce Fanny Osbourne, americana, di dieci anni più grande di lui, divorziata e madre di due figli. La nascita della relazione con Fanny coincide con l'inizio dell'impegno a tempo pieno come scrittore. Non passa molto tempo e Stevenson ha l'opportunità di pubblicare i suoi primi racconti.
Oltre ai vari racconti inizia a scrivere anche saggi e poesie per vari periodici. Pubblica libri di vario genere, tra cui "Un viaggio nell'entroterra" (An inland voyage, 1878) e "Viaggio con asino nelle "Cevenne (Travel with a donkey in the Cevennes, 1879), la raccolta di articoli filosofici e letterari "A ragazze e ragazzi" (Virginibus puerisque, 1881), e la raccolta di racconti "Le nuove notti arabe" (The new arabian nights, 1882).Nel 1879 raggiunge Fanny in California, dove era tornata per ottenere il divorzio. I due si sposano e tornano insieme ad Edimburgo.La notorietà giunge in modo inaspettato con "L'isola del tesoro" (Treasure island, 1883), ancora oggi il suo libro più popolare: in un certo senso Stevenson con il suo romanzo ha dato vita ad un vero e proprio rinnovo della tradizione del romanzo d'avventura.
Stevenson è considerato uno dei maggiori esponenti di quel complesso movimento letterario che reagì al naturalismo e al positivismo. L'originalità della sua narrativa è data dall'equilibrio tra fantasia e stile chiaro, preciso, nervoso.
Nel 1886 viene pubblicato "Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde" (The strange case of Dr Jekyll and Mr Hyde). Anche questo titolo contribuisce - e non poco - a imprimere il nome di Robert Louis Stevenson nella storia della grande narrativa mondiale del XVIII secolo.
Nello stesso anno Stevenson pubblica "Il ragazzo rapito" (Kid napped), a cui l'autore darà un seguito nel 1893 con "Catriona" (1893).
Del 1888 è "La freccia nera" (The black arrow). Ne "Il signore di Ballantrae" (The master of Ballantrae, 1889) il tema della fatale attrazione del male è magistralmente rappresentato nella storia dell'odio tra due fratelli scozzesi.
Raggiunge un discreto benessere economico, tuttavia la salute cagionevole e l'attrazione per l'avventura lo spingono a lasciare definitivamente l'Europa alla ricerca di un clima più mite. Nel 1888 dopo una breve sosta a New York, riparte per l'Ovest e poi, insieme alla famiglia, alla volta del Pacifico meridionale. Si stabilisce nelle isole Samoa a partire dal 1891. Qui trascorrerà una vita tranquilla, lavorando fino al giorno della sua morte, circondato dall'amore e dal rispetto degli indigeni che in più occasioni avrà modo di difendere dalle prepotenze dei bianchi.
Di ambiente polinesiano sono i racconti "I divertimenti delle notti dell'isola" (The island nights' entertainments, 1893) e "Nei mari del Sud" (In the South seas, 1896). Postumi sono stati pubblicati due romanzi incompiuti, "Weir di Hermiston" (Weir of Hermiston, 1896) uno dei suoi lavori più pregevoli, e "Saint Yves" (1898).Robert Louis Stevenson muore a Upolu, nelle isole Samoa, il 3 dicembre 1894.(da biografiaonline.it)

 Sono passati quasi settant’anni dalla prima edizione di Frankenstein, e molte cose sono
cambiate nella società e nella cultura inglese. L’epoca vittoriana, che coincide con il regno della
regina Vittoria e va dal 1830 al 1901, è caratterizzata da una cultura repressiva, fatta di divieti e
proibizioni. Il romanzo di Stevenson si inserisce in questo contesto in particolare grazie al tema
della doppia identità, centrale nella narrazione, che è strettamente legato alla società vittoriana. In
una cultura così repressiva, si sentiva forte l’opposizione tra l’immagine sociale che ogni

gentleman doveva proiettare, dalla quale le manifestazioni di ogni tipo di sentimento erano severamente escluse, e l’istinto naturale represso. Stevenson stesso era ossessionato dalla perdita e dallo sdoppiamento della personalità, e questo è stato determinante nella stesura dell’opera.
In epoca vittoriana avviene esattamente l’opposto: il primitivo,
l’irrazionale, l’incivilizzato viene guardato con orrore e temuto perché potenzialmente in grado di
sovvertire l’ordine razionale delle cose. Un ruolo centrale in questo così significativo cambiamento
di prospettiva fu giocato senza dubbio dalle teorie di Charles Darwin. La pubblicazione, nel 1859,
del suo saggio
L’origine delle specie provocò ben più di uno scossone in ambito scientifico e
culturale. La teoria dell’evoluzione e della lotta per la vita lasciava aperto un’inquietante
interrogativo: se l’uomo discendeva dalla scimmia, e cioè si era evoluto da uno stato animale,
esisteva allo stesso modo la possibilità che a questo stadio si potesse ritornare. La paura della
regressione è dominante in epoca vittoria, in cui si teme tutto ciò che non è civilizzato.
Stevenson era interessato ad una teoria particolare secondo la quale la natura umana si
compone dal rapporto di tre elementi: animale, intellettuale e spirituale.


Per quanto riguarda l’origine della storia di dottor Jekyll e del signor Hyde, Stevenson era stato particolarmente colpito dalla lettura di un racconto gotico in cui un nano era dotato solo degli elementi animale e intellettuale, mancando, così, di tutti i valori morali. Hyde sarà caratterizzato in modo simile, anche se in maniera assai più efficace, arrivando a rappresentare addirittura il “male” allo stato puro,
assoluto, pur non mancando di intelligenza. Il fatto che Stevenson abbia fatto uso di materiali già
presenti nella tradizione letteraria e culturale non toglie nulla al valore della sua opera, che è,
sostanzialmente, una moralizzazione del racconto del terrore.

Riguardo a Dottor Jekyll e Mister Hyde, l’ispirazione gli venne da un sogno.

Stevenson annotò nel suo diario di avere sognato un uomo che, in un laboratorio, inghiottiva una droga e si trasformava in un essere diverso. Stevenson assumeva molti medicinali, a volte anche droghe, per
lenire i forti dolori di cui soffriva; la perdita della personalità legata all’uso delle droghe era una sua
ossessione, e questo sogno ne è la prova. Pare che Stevenson, al risveglio, si mise subito all’opera,
scrivendo una classica storia del terrore, alla quale aggiunse, però, un forte messaggio etico.
Questa è la tragedia dell’uomo per bene travolto dal male.
 Jekyll sa che la sua posizione sociale di stimato medico e scienziato gli proibisce di fare tutto ciò che viene onsiderato immorale o anche solo sconveniente dalla società in cui vive.
Per questo si trasforma volontariamente in Hyde, che ama la sua condizione di peccatore: non ha relazioni sociali da mantenere e attraverso la sua condotta immorale e violenta trionfa sul perbenismo dei suoi concittadini.
Quando diventa Mister Hyde, il dottor Jekyll può fare tutto quello che al gentleman

vittoriano non è concesso. Hyde non rispetta le regole sociali; si lascia andare a scatti d’ira
assolutamente imperdonabili  tanto che il suo crimine peggiore,l’omicidio di un anziano, è scatenato dal fatto che l’uomo gli aveva semplicemente chiesto un’informazione.
Hyde è privo di educazione, e questo, secondo la mentalità vittoriana, porta all’assenza di moralità.
Con il suo esperimento, il dottor Jekyll, scienziato spiritualista ed esoterico, voleva trovare il modo di separare il Bene dal Male; è una brava persona,che vuole scientificamente dividere le due parti che compongono la personalità umana.
Ben presto,però, Jekyll si rende conto che attraverso la figura di Hyde può lasciarsi andare a tutti i desideri e le perversioni che la sua posizione sociale gli ha sempre precluso. A questo punto, Jekyll non si comporta più da scienziato, ed ha inizio per lui una degradazione morale dovuta al fatto che Hyde non è più per lui un mezzo di conoscenza, ma un semplice strumento attraverso il quale sfogare tutti i suoi istinti.
Un ingrediente sbagliato rende irreversibile l’effetto della pozione, e Jekyll non è più in grado di
controllare il processo di trasformazione. Allegoricamente, tutto questo è simbolico del fatto che i
peccati portano alla dannazione e che il processo è irreversibile: una volta sulla strada del male non
si può più tornare indietro. La metamorfosi di Jekyll, all’inizio volontaria, diventa man mano
sempre più involontaria e, alla fine, impossibile. Jekyll, diventato ormai definitivamente Hyde,
capisce che non si può più controllare, e così l’unica liberazione possibile viene raggiunta con la
morte di entrambi.
Considerata spesso un genere di secondo grado, la narrativa gotica ha invece giocato un importante ruolo nella nascita e lo sviluppo di altri generi letterari successivi: non solo quelli piu' odierni, come l'horror, il thriller, il giallo e la fantascienza, ritenuti loro malgrado minori, ma anche il romanzo psicologico, quello sociale e soprattutto quello storico, che proprio dal gotico muove i primi passi. Elementi gotici sono ravvisabili, ad esempio, ne I Promessi Sposi (1827) di Alessandro Manzoni (1785-1873): la fanciulla perseguitata, il macabro scenario della peste, oscuri conventi e castelli. A quanto testimonia il figliastro Stefano Stampa, Manzoni in gioventu' aveva letto romanzi di questo genere, e aveva perfino meditato la scrittura di un «romanzo fantastico». Altri esempi possono essere rintracciati nella narrativa dello scozzese Walter Scott (1771-1832), ma soprattutto nei romanzi del francese Victor Hugo (1802-1885), come Notre Dame de Paris (1831). Anche il romanzo naturalista, con il suo interesse per il male che pervade la societa', per la sua attenzione per le psicologie abnormi e patologiche, e' spesso caratterizzato da episodi macabri e atmosfere terribili; in esso, pero', l'orrore non e' ricavato da visioni allucinate o fantasiose, ma dall'analisi impietosa della cruda realta'.In Germania il maggiore esponente della narrativa oscura fu lo scrittore, musicista e pittore Ernst Theodor Hoffmann (1776-1822). I suoi racconti sono pervasi da un'atmosfera allucinata e talvolta demoniaca, sospesa tra sogno e realta'. La sua arte si spinge ad esplorare le zone piu' oscure e misteriose della psiche, avventurandosi in un mondo di incubi, di follia, di terrore. La grande svolta nella cultura occidentale provocata dal Romanticismo fu proprio l'aver aperto le porte all'esplorazione dell'inconscio; non a caso Sigmund Freud (1856-1939), padre della psicanalisi, che tra l'altro aveva dedicato alcune pagine del saggio Il perturbante (1919) ad un racconto di Hoffmann, L'uomo della sabbia, riconoscera' il suo debito nei confronti della cultura romantica.
Negli Stati Uniti il primo piu' importante interprete della narrativa gotica fu Charles Brockden Brown (1771-1810), che ambientva i suoi romanzi nell'America contemporanea, cercando di creare fonti di paura piu' realistiche e di perlustrare gli stati mentali dei suoi personaggi. La letteratura "nera" fu poi portata ai massimi livelli da Edgar Allan Poe, e influenzo' anche gli scrittori Nathaniel Hawthorne (1804-1864), autore de La Lettera Scarlatta (1850), ed Herman Melville (1819-1891), autore di Moby Dick (1851).
In Francia ne rimase affascinato Charles Baudelaire, ma molto prima ancora ebbero analogie con il genere i romanzi del marchese di Sade (1740-1814). Tra i piu' famosi, sono da ricordare Justine, o le sventure della virtu' (1791), e Juliette, o la prosperita' del vizio (1797). In essi, lo scittore proclamava l'erotismo (impregnato di tendenze sataniche e sboccante in quella perversione che prese appunto il nome di sadismo) come una rivolta allo stato della societa' umana e agli ordinamenti divini. Incentrati sulle vicende di caste eroine perseguitate da infernali malvagi, i racconti erano pero' piegati alla dimostrazione di tesi filosofiche, secondo le quali compiere il male significa agire in conformita' con le leggi di natura. Non e' da meravigliarsi se percio' i suoi romanzi furono piu' volte duramente censurati.
In Italia i motivi del genere "nero" si erano affacciati con particolare rilevanza nei romanzi storici di Domenico Guerrazzi (1804-1874). Il gusto di tratteggiare personaggi di malvagita' demoniaca e scene truculente e orribili, denota una certa propensione per il tenebroso, l'orrido e il macabro, che, unita al carattere fortemente democratico e anticlericale di queste opere, le rende lontanissime dal modulo della scuola manzoniana, piu' moderata e moraleggiante. Guerrazzi e' probabilmente l'unico nel primo '800 italiano a presentare, seppure in forme piu' grossolane, temi cari alla matrice oscura del Romanticismo europeo. Fu solo con la Scapigliatura, pero', che questi temi trovarono poi l'effettiva affermazione anche nel panorama culturale nostrano.

Dai primi anni del 2000 , si è avuto un ritorno del neogotico  , in particolare la figura del vampiro, ha assunto numerose connotazioni. Scrittrici come Anne Rice e Jeanne Kalogridis hanno basato la loro fortuna su questo “mostro” gotico del canone letterario mondiale. Ultimamente il vampiro è tornato in auge grazie alla saga di Twilight elaborata da Stephanie Meyer. Due sono le novità che hanno permesso a questa serie di romanzi di avere un grande riscontro di pubblico e un successo repentino: il cambiamento della natura del vampiro e l’introduzione del tema dell’amore romantico. Due elementi fondamentali per convincere un’ampia sezione del pubblico giovanile, poco attratto dalle cupe atmosfere gotiche del vampiro originale. Il vampiro subisce così una parziale evoluzione, passando da essere uno dei mostri più feroci ed efferati della storia della letteratura a essere “vegetariano” (si nutre solo di sangue animale) ricercatore della pace e animato dal desiderio di vivere in pace con i mortali, combattendo con i vampiri tradizionali. L’inserimento della storia d’amore, dai risvolti difficili e complicati ma conclusa con un lieto fine, è la chiave della popolarità e della fama che questa parentesi moderna del personaggio vampiresco ottiene senza riserve. Un essere pronto a donare se stesso per coronare il suo sogno da innamorato, esattamente come qualsiasi giovane idealista colpito dalle frecce di Cupido.
“Il vampiro contemporaneo rappresenta l’outsider sensibile, solitario, che vive in disparte dalla società cosiddetta normale”,ha scritto sul Times Leslie S. Klinger.È l’ultima incarnazione di una figura cara alla
cultura giovanile, il bad boy o la bad girl: il bastardo bello e tormentato, che affascina eppure fa paura. Insomma, l’Edward di Twilight come un nuovo James Dean. Il passaggio dal “vampiro senza pietà” al “vampiro pietoso” rappresenta una delle maggiori possibilità della letteratura: il giocare con i personaggi, proponendo sfaccettature e caratteristiche diverse in base alla fantasia e creatività degli scrittori passati, presenti e futuri. Non possiamo sapere quale altra natura sarà riservata a questa creazione immortale, portatrice di paure, ansie e ora mitiche storie d’amore.
Le due tendenze maggiori: i vampiri con un’anima e i vampiri adolescenti. Alla prima appartiene
Lestat, creato da Anne Rice ,così come il conte di Saint Germain dei libri di Chelsea
Quinn Yarbro , Joe Pitt, vampiro detective a Manhattan (l’autore è Charlie Huston)
e la nobile Geneviève Dieudonné dei romanzi di Jack Yeovil .
 I teenager non-morti si incontrano nella serie tv Bu ffy, con la bionda  cacciatrice di vampiri e il suo fidanzato (vampiro) Angel, nelle vicende di Twilight (Fazi)
e in True Blood, con la coppia Sookie e Bill,barista lei, vampiro lui. La discendenza vampiresca
comunque, non è destinata a estinguersi perché, scrive L.S. Klinger, “temi come la morte e l’immortalità continueranno sempre ad affascinare”.






mercoledì 26 ottobre 2011

COLETTE






Donna dalla natura libertaria e creativa, scrittrice francese che visse negli anni delle prime rivendicazioni femminili, si definiva un'ermafrodita mentale .

Nacque il 28 gennaio 1873 a Saint-Sauveur-en-Puisaye
 con il nome Simonie-Gabrielle Colette, in arte semplicemente Colette.
Trascorse l'infanzia e l'adolescenza in Borgogna. Qui la madre le fece leggere tutto ciò che desiderava. Trasferitasi a Parigi sposò lo scrittore Henri Gauthier-Villars, il quale la incoraggiò a scrivere le sue divertenti avventure di bambina.

Tramite il marito, la ragazza entrò nell’ambiente bohémien dei musicisti, dei poeti, dei commediografi della capitale francese, dove cominciò a diventare conosciuta proprio come moglie di Willy, e dove conobbe anche persone molto note all’epoca, come la “Bella Otero” e Mata Hari.
Quando Willy si accorse del talento letterario della giovane sposa, si creò tra i due un rapporto strano, fondato sull’influenza psicologica e sul carisma esercitati dall’uomo e sulla ritrosia accondiscendente, che sfociava in una passiva e tacita complicità, di Colette, la quale solo nel 1936, ovvero trent’anni dopo la fine del matrimonio e cinque dopo la morte di Willy, trovò la forza e il coraggio di renderlo noto ne “Il mio noviziato”.
Willy, infatti, pur firmando appunto quale scrittore e giornalista un numero impressionante di libri ed articoli, si serviva in realtà di un gruppo piuttosto nutrito di “negri”, ovvero autori “fantasma”.
Dopo un periodo di malattia, probabilmente causata già dall’infelice rapporto con il marito, Colette divenne, quindi, anch’essa una sua “lavorante”:nacque la serie, destinata a diventare popolarissima, di “Claudine”. Come autore in copertina appariva, naturalmente, il solo Willy (almeno nelle prime edizioni), che ne decise anche la riduzione per il teatro, dove venne portata in scena con grande successo dall’attrice Polaire..
 Il matrimonio, però, la soffocava fin quasi a consumarla, come in una prigione le cui sbarre erano rappresentate dalla scrittura, cui ormai la giovane si dedicava tutti i giorni con regolarità ed orari impiegatizi, e dagli innumerevoli tradimenti di Willy, che questi non si curava nemmeno di nascondere, fino anzi ad arrivare a proporle dei ménages à trois.
Il rapporto tra lei e il marito durò circa un decennio, durante il quale scrisse vari romanzi di successo, giungendo solo verso la fine del matrimonio ad ottenere il proprio nome in copertina accanto a quello del marito.
 Scrisse "La maison de Claudine" seguita da "Chèri", "La gatta", "Duo".

Nel 1905 decisero, quindi, di separarsi, dando l’avvio alla causa di divorzio.
Colette, inserita nella Parigi mondana, decise di allacciare nuove amicizie. Lo fece, subito, alla sua maniera, legandosi con Mathilde de Morny, detta Missy, marchesa di Belbeuef, più anziana di lei di dieci anni, con la quale non si vergognava di mostrarsi in pubblico. L’amante, molto ricca, le regalò una bellissima dimora, a Rozven, presso Saint Malo, dove lei trasferì la sua residenza, i suoi libri, i pochi mobili e tanti gatti. Anni dopo scriverà nei suoi Souvenirs Elisabeth de Gramont: «Colette è una donna che vive davanti al focolare: i gatti, la luce, il calore e l’uomo ». E le donne, possiamo aggiungere che, dopo la fine della relazione con Missy, si alternarono agli amori maschili nella sua vita.
Perduta l’amica e dovendo far fronte alle esigenze quotidiane, Colette decise di dedicarsi alla carriera artistica, calcando i palcoscenici dei maggiori teatri di Parigi, come ballerina e come mima, esibendosi assieme all’allora già famosa Polaire.
Erano gli anni in cui consolidava il suo mito di donna libera che si divideva tra numerosi amanti, convinta che «i sensi sono un inesorabile fascio di forze annidati nel corpo umano», che lei metteva scandalosamente in mostra, compreso il seno nudo, vivendo «tutte le avventure impossibili».Il suo viaggio in Italia nel 1910 coincise con uno snodo cruciale della sua vita e l’inizio di una nuova stagione. Il tour le era stato regalato da Auguste Heriot, figlio di una ricchissima famiglia parigina, proprietaria dei grandi magazzini del Louvre. Heriot la corteggiava, invitandola nei migliori ristoranti di Parigi e colmandola di regali. Il giovane amante sperava con il generoso invito in Italia di conquistarla definitivamente. Erano appena arrivati in Italia, verso la metà di luglio, che Colette fu raggiunta dalla notizia della sentenza di divorzio. Finalmente, dopo anni di immeritato oblio, era libera di rivelarsi non solo come autrice della serie di “Claudine”, ma di firmare con il proprio nome Le Vagabonde, il romanzo che sarà pubblicato a puntate sulla rivista La Vie Parisienne. La sosta romana la annoia. La città sembra deserta e troppo silenziosa. Dedica interi pomeriggi a portare a passeggio i suoi cani a Villa Borghese o sui declivi deserti del Palatino. La città le appare addormentata, anche se carica di colori e di atmosfere. Decide allora di scendere al sud. Heriot la segue senza entusiasmo. A novembre raggiungono Napoli e la costiera amalfitana, da dove lei invia brevi notizie alla madre preoccupata, per rassicurarla: «Mia cara mamma, noi facciamo colazione a Positano, in un paese troppo bello perché creda sia vero». E il giorno dopo: «Io sono arrivata e sono rimasta abbagliata. Questa baia di Napoli, lo confesso, non ha affatto rubato la sua reputazione». Il viaggio per la verità la stanca ed è pieno di scomodità, ma le continue scoperte, la luce, gli odori e la natura incontaminata catturano i suoi sensi e la sua mente. Stende poche note, scrive brevi notizie alla madre e “sopporta” la corte malinconica del compagno di viaggio. La verità è che il giovane e inesperto spasimante la annoia, confidando al suo amico Léon Hamel: «Io non arriverò mai a scrivere una lettera. Oggi: battello, vettura, battello, tempesta». Insomma un tour de force e un amico che non la diverte. Nonostante il tempo incerto, la pioggia e il mare mosso, decide di spingersi fino a Capri. Il viaggio non è confortevole, a causa del dondolio che le procura la nausea. Costeggiando Procida, però, dimentica tutto e si esalta alla visione dei giardini «così vecchi, ornati di rose e di aranceti». Al largo il mare si ingrossa e ricominciano i fastidi. Finalmente Capri. Colette resta incantata da tanta bellezza.
Le prende come una frenesia e in pochi giorni la percorre tutta, su e giù senza sosta. Vuol vedere ogni cosa, immergersi nell’atmosfera dell’isola, conoscerne la storia, la gente. Sempre più eccitata, visita uno dei luoghi ormai entrati nella leggenda: «Vado alla Grotta Azzurra, dove si entra per una piccola entrata e dove è tutto illuminato dal blu fosforescente e indimenticabile», scrive come rapita. È definitivamente conquistata dall’isola azzurra.
Colette fa poi lunghe passeggiate per le vie solitarie e poco frequentate. Ed è ad Anacapri che scopre la “sua” nuova casa. In quella che si chiama oggi via Timpone, adocchia alcuni vecchi fabbricati settecenteschi, del complesso monastico di San Michele. Colette se ne innamora a prima vista, ma non esprime a nessuno il suo intimo desiderio, neanche al compagno che la segue sempre più infelice e disperato. La permanenza a Capri si chiude, poco dopo, con la fine della storia d’amore con Heriot, che per la verità non era mai iniziata, e il cui carattere lei descrive con parole profetiche al suo confidente Hamel: «Il mio piccolo compagno vi invia il suo saluto. Egli è molto gentile quando è solo con me, ma non sarà mai felice, perché è come costruito su un fondo di tristezza».
Tornata a Parigi, a dicembre, fa la conoscenza di Henry de Jouvenel, condirettore al giornale Le Matin, e suo futuro marito, che sposerà nel luglio del 1913, tre mesi dopo la morte dell’amatissima madre Sido. Da quell’unione nascerà una bambina, alla quale verrà dato lo stesso nome della madre.
Colette sta diventando ormai la primadonna della letteratura parigina. I suoi libri, della serie di “Claudine” e le nuove opere come Ces Plaisirs… e Chéri raggiungono diverse migliaia di copie, mentre i suoi servizi giornalistici sono attesi da sempre più numerosi ammiratori entusiasti. Nel luglio del 1915 torna in Italia, questa volta come inviata speciale del giornale Le Matin. Da Lugano raggiunge Venezia e successivamente Roma. Come nella sua prima visita, continua ad annoiarsi. Trova la città stranamente ferma nel tempo e lontana, anche allora che si era in tempo di guerra. Decide, allora, di ritornare a Capri. Qui raggiunge Anacapri e va direttamente a via Timpone, dove contratta l’acquisto della casa scoperta cinque anni prima.
In poche settimane i vecchi muri dalle volte a vela riprendono vita. Colette adesso è ricca ed è tra i più grandi scrittori di Francia. Un gruppo di muratori è impegnato a realizzare il suo sogno caprese, restaurando e tinteggiando a calce l’intero fabbricato e realizzando un giardino chiuso, simile a quello della casa dell’infanzia in Borgogna, protetto da alti muri, scandito da colonne e percorso da vialetti. Uno spazio dove sostare, passeggiare e giocare con i gatti che adesso, quasi a un misterioso richiamo, arrivano da tutto il vicinato.
La scrittrice è felice e si occupa di arredare personalmente gli interni. Si fa costruire in camera da letto un’ampia vetrata che dà su un giardino di agrumi, e sceglie pavimenti in ceramica con disegni geometrici e floreali. Alle pareti dello studio appende alcune stampe francesi. Alle grate delle finestre fa mettere il monogramma intrecciato “Colette de Jouvenel”. Colette sarà a Capri ancora nel 1917 e nel 1918 e ogni volta che la sua vita avventurosa glielo concederà. Elisabeth de Gramont ricorda come Colette, amante della cucina e della casa, si trasformasse quando era nella sua nuova casa: «Nell’estate mediterranea trascina una tavola sotto la pergola, distende in pieno sole i suoi potenti muscoli ricoperti di una pelle fine e dorata e dà al braciere il colpo adatto a farne scaturire la fiamma alta e chiara che cocerà all’istante il pesce ai ferri».
La sua vita avventurosa la porterà ancora per lunghi anni a vivere amori e successi, lontana dalla sua casa caprese. Divorziata dal secondo marito, troverà finalmente la felicità nel 1925, sposando Maurice Goudeket,lui aveva quarantacinque anni, lei sessantadue.
Entrerà nell’Olimpo della letteratura francese all’Accademie Goncourt nel 1945 diventandone presidente nel 1949, e quello dell'Académie royale de Belgique nel 1953.
Colette continuerà a scrivere e ad amare, sempre tesa a leggere il cuore degli uomini con i suoi occhi acuti e implacabili, «gli occhi più belli del mondo, di un azzurro profondo, come certi zaffiri, come il Mediterraneo d’inverno, quando è tormentato dal Mistral, e picchiettati d’oro ». Prima di spegnersi dolcemente nella sua ultima casa di Port Royal il 3 agosto del 1954. La dimora caprese, dopo la sua scomparsa, passò alla figlia e poi all’architetto Biagio Accolti Gil e da questi alla sorella Dinella, attuale proprietaria, che ha voluto preservare il ricordo dell’illustre ospite, conservandone ove possibile il carattere originario. 

Colette cominciò a scrivere poco più che ventenne, conducendo una vita turbolenta e lavorando instancabilmente. La scrittura diventò per lei una necessità vitale ed il responsabile di questa metamorfosi fu proprio il primo marito, il traditore, lo sfruttatore, il narcisista, che le fornì l'ambiente intellettuale e gli accorgimenti tecnici indispensabili per scoprirsi scrittrice.
Produsse quasi ottanta volumi di narrativa, memorie, articoli giornalistici e lavori teatrali di altissima qualità. I suoi romanzi, la serie di Claudine, erano tenuti lontani dalle giovani francesi di buona famiglia e il Vaticano li inserì nell'Indice dei libri proibiti. I critici definirono Colette perversa e senz'anima, rimproverandole un'arte basata sui sensi. Mostrò ai suoi lettori ciò che le donne provano realmente per gli uomini, raccontando per la prima volta nella storia della letteratura una donna-soggetto. Quando creò il personaggio Claudine nei primissimi anni del Novecento, sembrava essere solo una moda, uno scandalo macchinato dal primo marito, invece si rivelò una nuova visione dell'universo romanzesco femminile. Il personaggio femminile messo in scena da Colette è forte e virile, non rinuncia all'uomo e all'amore ma tenta di stabilire un equilibrio nuovo all'interno della coppia, dalla relazione è sempre la donna a uscirne vincitrice e non più l'uomo.

Suoi testi Camera d'albergo. Firenze, Passigli,c1996
Chéri. Milano,Adelphi, c1984 
Claudine. Milano, Rizzoli, c1985 
Claudine a Parigi. Milano, Rizzoli, 1958
Claudine a scuola. Milano, Frassinelli, c1996 
Claudine en menage. Paris, Mercure de France, 1961
Claudine se ne va. Milano, Rizzoli, 1958
Duo, 10.ed. Venezia, Marsilio,1996 
L'entrave. Firenze, Passigli, c1994
L'ètoile Vesper. Genere; Paris, Montreal, c1946
Le fanal bleu. Paris, Ferenczi, [1949]
La fine di Chèri. Milano, Adelphi, c1985
La gatta. Roma, Editori Riuniti, 1997
Gigi. Milano, Adelphi, c1992
Il grano in erba. Parma, Guanda, stampa 1976
Hotel bella vista. Milano, La Tartaruga, c1985 L'ingenua libertinea. Milano, ES, c1992
Luna di pioggia. Firenze, Passigli, c2003
La maison de Claudine. Paris, Hachette, 1976
Il mio noviziato. Milano, Adelphi, c1981 
La nascita del giorno. Milano, Adelphi, c1986 
La pace tra le bestie. Milano, La Tartaruga, c2004 
Il puro e l'impuro. 1. ed. Milano, Mondadori, 1977 
La retraite sentimentale. Paris, Mercuri de France, 1965
Sido. Milano, Adelphi, c1989 
La vagabonda. 1. ed. Milano, Mondadori, 1977 

HANNO SCRITTO SU DI LEI :








Il mio apprendistato in cucina. Le ricette di ColetteListino

€ 4,80

Editore

Il leone verde

Collana

Leggere è un gusto

Data uscita

07/05/2010

EAN

9788895177885

.

 


lunedì 24 ottobre 2011

Father Mine: ultimo Capitolo


CAPITOLO 11:

Un’ora dopo Zsadist era in cantina nella residenza della
Fratellanza, seduto di fronte alla vecchia caldaia a carbone nel
seminterrato. La dannata cosa era un relitto del 1900, ma
funzionava talmente bene che non c’era ragione di cambiarla.
Inoltre, occorreva un notevole sforzo per far bruciare il carbone e
i doggen amavano i lavori regolari. Più cose c’erano da fare e
meglio era.
La pancia della grande caldaia di ferro aveva una finestrella
davanti, una fatta di vetro temprato spesso tre centimetri, e
dall’altro lato del vetro le fiamme si muovevano, lente e calde.
“Zsadist?”
Z si passò una mano sul viso e non si girò sentendo la familiare
voce femminile. In un certo senso non poteva credere di stare per
fare quello che stava per fare, e l’istinto di scappare via lo stava
dilaniando.
Si schiarì la gola. “Ciao.”
“Ciao.” Ci fu una pausa, e poi Mary disse, “La sedia vuota
accanto a te è per me?”
Adesso si girò. Mary era in piedi al fondo delle scale che
portavano in cantina, vestita come al solito, pantaloni color cachi e
una polo. Al polso sinistro c’era un enorme Rolex d’oro, e aveva
piccoli orecchini di perle ai lobi.
“Sì,” disse Z. “Sì, è…grazie per essere venuta.”
Mary si avvicinò, i mocassini facevano un suono staccato sul
pavimento di cemento. Quando si fu seduta sulla sedia da
giardino, la riposizionò in modo da essere di fronte a lui e non alla
caldaia.
Z si passò una mano sul cranio rasato.
Mentre il silenzio si allungava, il suono di una valvola di tiraggio
venne dalla parte opposta della stanza…e qualcuno al piano di
sopra accese la lavastoviglie…e il telefono squillò sul retro della
cucina.
Poi, visto che si sentiva un idiota a non dire niente, alzò un
polso. “Ho bisogno di provare quello che dirò a Nalla quando mi
chiederà di questi. Io ho solo…ho bisogno di avere qualcosa di
pronto da dirle. Qualcosa che…sia la cosa giusta, sai?”
Mary annuì lentamente. “Sì, lo so.”
Z tornò a guardare la caldaia e ricordò di aver bruciato il teschio
della Padrona lì dentro. All’improvviso si rese conto che era
l’equivalente di V che inceneriva il posto in cui era stato fatto del
male a Bella, vero. Non potevi radere al suolo un castello…ma
c’era stata comunque una certa purificazione col fuoco.
Ciò che non aveva fatto era l’altra metà del processo di
guarigione.
Dopo un po’ Mary disse, “Zsadist?”
“Sì?”
“Che cosa sono quei segni?”
Z aggrottò la fronte e la guardò, pensando, come se non lo
sapesse? Ma poi…beh, lei era stata umana. Forse non lo sapeva.
“Sono bracciali di schiavitù. Ero…uno schiavo.”
“È stato doloroso quando te li hanno fatti?”
“Sì.”
“Te li ha fatti la stessa persona che ti ha ferito in faccia?”
“No, l’hellren della mia padrona l’ha fatto. La mia padrona…lei
mi ha fatto i bracciali. Lui mi ha ferito in faccia.”
“Per quanto tempo sei stato uno schiavo?”
“Cento anni.”
“Come hai fatto a liberarti?”
“Phury. Phury mi ha tirato fuori. È così che ha perso la gamba.”
“Ti hanno fatto del male quando eri uno schiavo?”
Z inghiottì con forza. “Sì.”
“Ci pensi ancora?”
“Sì.” Si guardò le mani, che all’improvviso gli facevano male per
qualche motivo. Oh, giusto. Le aveva strette a pugno e stava
stringendo così forte che le dite stavano per staccarsi dalle nocche.
“La schiavitù c’è ancora?”
“No. Wrath l’ha messa fuorilegge. Come regalo per l’unione mia
e di Bella.”
“Che tipo di schiavo eri?”
Zsadist chiuse gli occhi. Ah, sì, la domanda a cui non voleva
rispondere.
Per un po’ tutto quello che riuscì a fare fu di sforzarsi di
rimanere su quella sedia. Ma poi, con tono falsamente calmo,
disse, “Ero uno schiavo di sangue. Ero usato da una donna per il
sangue.”
La quiete dopo che ebbe parlato gravava su di lui, come un peso
tangibile.
“Zsadist? Posso appoggiarti una mano sulla schiena?”
La sua testa fece qualcosa che evidentemente era un cenno di
assenso, perché la mano gentile di Mary gli si posò delicata sulla
scapola. Mary mosse la mano in lenti cerchi.
“Quelle erano le risposte giuste,” gli disse. “Tutte quante.”
Z dovette sbattere le palpebre velocemente mentre il fuoco nella
caldaia diventava indistinto. “Credi?” chiese con voce rotta.
“No. Lo so.”


EPILOGO :

Sei mesi dopo…
“E cosa sta succedendo qui con tutto questo rumore, tesoro?”
Bella entrò nella nursery e trovò Nalla in piedi nella culla, mani
attaccate alla ringhiera, il visino rosso e tirato per il pianto. Tutto
era stato buttato sul pavimento: il cuscino, i peluches, la coperta.
“Sembra che il tuo mondo stia di nuovo per finire,” disse Bella
prendendo in braccio sua figlia che piangeva a dirotto e guardando
le macerie. “È stato per qualcosa che hanno detto?”
L’attenzione faceva solo scendere le lacrime più in fretta e con
più forza.
“Adesso, adesso, cerca di respirare…ti darà più volume…Okay,
hai appena mangiato, quindi so che non hai fame. E sei asciutta.”
Altri urli. “Ho la sensazione di sapere di cosa si tratta…”
Bella controllò l’orologio. “Guarda, possiamo provarci, ma non
so se è già ora.”
Piegandosi, Bella raccolse dal pavimento la copertina rosa
preferita di Nalla, ci avvolse la piccola e si diresse verso la porta.
Nalla si calmò un pochino mentre uscivano dalla nursery e
camminavano lungo il corridoio delle statue verso la grande
scalinata, e il tragitto attraverso il tunnel fino al centro
addestramento fu allo stesso modo relativamente calmo, ma
quando entrarono nell’ufficio e trovarono il posto deserto, il
pianto ricominciò.
“Aspetta, dobbiamo solo vedere se…”
Fuori, nel corridoio, un gruppo di ragazzi pre-transizione
lasciarono lo spogliatoio e si diressero verso l’area di parcheggio.
Era bello vederli, e non solo perché voleva dire che Nalla stava
probabilmente per ottenere quello che voleva: dopo le razzie alle
case della glymera, i corsi per i futuri soldati erano state interrotti.
Adesso, però, la Fratellanza era tornata in attività con la
generazione successiva, solo che questa volta non tutti i ragazzi
erano aristocratici.
Bella entrò nella palestra attraverso la porta sul retro e arrossì
davanti a ciò che vide. Zsadist era là davanti, si stava allenando
con il sacco, i potenti pugni spingevano la cosa indietro fino a
farla pendere a un angolo impossibile. Il torace nudo era
incredibile sotto le luci, i muscoli definiti, gli anelli ai capezzoli
brillavano, il suo corpo di combattente perfetto perfino agli occhi
di qualcuno non esperto come lei.
Da un lato, c’era uno dei ragazzi, completamente pietrificato, una
felpa gli penzolava dalla piccola mano. Il viso mostrava una
combinazione di paura e adorazione mentre guardava Zsadist
allenarsi, gli occhi del ragazzo erano spalancati e la bocca era
socchiusa in un O dato dalla mandibola lasciata cadere.
Il secondo in cui le urla di Nalla echeggiarono nel vasto spazio, Z
si girò di colpo.
“Scusa se ti disturbiamo,” disse Bella oltre le urla. “Ma vuole il
suo papà.”
Il viso di Z si sciolse, risplendente d’amore, la fiera
concentrazione fluì dai suoi occhi e fu sostituita da quello che a
Bella piaceva chiamare la visione Nalla. Venne loro incontro
attraverso i materassini blu, baciando Bella sulla bocca mentre
prendeva in braccio la piccola.
Nalla si sistemò subito nell’abbraccio di suo padre, gli mise le
braccia intorno al collo poderoso e si accoccolò sul torace
massiccio.
Z si guardò alle spalle attraverso la palestra e vide il ragazzo.
Con voce profonda, disse, “L’autobus sta arrivando, figliolo. È
meglio che ti sbrighi.”
Quando si girò nuovamente, Bella sentì il braccio del suo hellren
intorno alla vita e venne tirata al suo fianco. Mentre la baciava
un’altra volta sulla bocca, Z mormorò, “Ho bisogno di una doccia.
Vuoi aiutarmi?”
“Oh, sì.”
I tre lasciarono la palestra e tornarono nella residenza. A metà
strada del tragitto, Nalla si addormentò, così quando arrivarono in
camera loro, andarono nella nursery e la misero nella culla, e
poterono godersi una doccia molto calda, e non solo per la
temperatura dell’acqua.
Quando ebbero finito, Nalla era di nuovo sveglia, giusto in
tempo per l’ora della favola.
Mentre Bella si asciugava i capelli con un asciugamano, Z prese
la piccola e padre e figlia si sistemarono sul lettone. Bella uscì un
momento dopo, si appoggiò semplicemente allo stipite della porta
e rimase a guardarli. I due erano così attaccati che sembravano
essere una sola persona. Z aveva addosso un paio di pantaloni del
pigiama, fantasia a scacchi Black Watch, e una canottiera. Nalla
aveva una tutina rosa pallido con in bianco la scritta La cocca di
papà.
“Oh, i posti dove andrai,” lesse Z dal libro che teneva in grembo.
“Del Dottor Seuss.”
Mentre Z continuava a leggere, di tanto in tanto Nalla dava
colpetti alle pagine con le manine.
Era la nuova routine. Al termine di ogni notte, quando Z tornava
dai pattugliamenti o dalle lezioni, faceva una doccia mentre Bella
dava da mangiare a Nalla, e poi lui e la figlia si mettevano sul letto
e lui le leggeva fino a farla addormentare.
Quindi la portava con cautela nella nursery…e ritornava per l’ora
mahmen-e-papà, come amava chiamarla.
Sia la lettura che il modo in cui aveva preso confidenza a tenere
in braccio Nalla erano miracolosi, e Mary aveva dato una mano
per entrambe le cose. Z e la donna si incontravano una volta a
settimana nella sala della caldaia. I due avevano raccontato a Bella
delle sedute e qualche volta Z le diceva qualcosa di quello di cui
avevano parlato, ma per la maggior parte quello che veniva
discusso rimaneva nel seminterrato, anche se Bella era
consapevole che alcune delle cose che venivano condivise erano
orrende. Lo sapeva perché, dopo, Mary spesso si rintanava nella
camera che condivideva con Rhage e non ne usciva per lungo,
lungo tempo. Ma stava funzionando. Z si stava ammorbidendo in
un modo diverso, un modo nuovo.
Lo si vedeva con Nalla. Quando la piccola gli prendeva i polsi lui
non si tirava indietro, ma lasciava che lo accarezzasse o lo
baciasse sui tatuaggi. La lasciava arrampicarsi sulla schiena
rovinata e le fregava anche il viso contro il suo. E aveva fatto
aggiungere il nome di sua figlia sulla schiena, inciso con amore
sotto quella di Bella dai suoi Fratelli.
Lo si vedeva anche perché i brutti sogni si erano esauriti. Infatti,
erano passati mesi dall’ultima volta in cui era scattato a sedere sul
letto madido di sudore e di paura.
E lo si vedeva nei suoi sorrisi. Che erano più ampi e più frequenti
che mai.
All’improvviso, la vista di lui con la bambina divenne un po’
sfocata, e come se avesse percepito le lacrime, Z la guardò.
Continuò a leggere ma corrugò la fronte preoccupato.
Bella gli soffiò un bacio, e in risposta lui diede un colpetto al
materasso accanto a dove era seduto.
“Quindi…vai per la tua strada!” finì mentre Bella gli si
accoccolava accanto.
Nalla fece un gridolino di felicità e diede dei colpetti alla
copertina del libro che Z aveva chiuso.
“Stai bene?” sussurrò all’orecchio di Bella.
Lei gli appoggiò una mano sul viso e portò la bocca sulla sua.
“Sì. Molto, davvero.”
Mentre si baciavano, Nalla diede di nuovo qualche colpetto al
libro.
“Sei sicura che vada tutto bene?” chiese Z.
“Oh, sì.”
Nalla afferrò il libro e Z sorrise, tirandolo indietro con
gentilezza. “Ehi, che cosa stai facendo, piccolina? Ne vuoi
ancora? Sei troppo…tu…oh, no…non il labbro tremolante…oh,
no.” Nalla fece una risatina. “Oltraggioso! Ne vuoi ancora, e sai
che otterrai quello che vuoi a causa del Labbro. Però, ti rigiri papà
proprio come vuoi, non è vero?”
Nalla emise un gridolino di felicità quando papà riaprì il libro e
la storia uscì dalla bocca di Z ancora una volta, con voce
risonante. “Congratulazioni! Oggi è il giorno…”
Bella chiuse gli occhi, appoggiò la testa sulla spalla del suo
hellren, e ascoltò la storia.
Di tutti i posti in cui era stata, quello era il migliore. Proprio lì.
Con loro due.
E sapeva che Zsadist provava lo stesso. Era tutto nelle ore
passate con Nalla e tutti i giorni in cui allungava una mano tra le
lenzuola per cercare Bella quando erano soli. Era nel fatto che
aveva ricominciato a cantare, e che aveva iniziato a fare la lotta
con i suoi Fratelli, non per allenarsi, ma per divertimento. Era nel
suo nuovo sorriso, quello che Bella non aveva mai visto prima e
non vedeva l’ora di rivedere.
Era la luce che aveva negli occhi e nel cuore.
Era…felice della vita. E lo era sempre di più.
Come se le avesse letto nella mente, Z le prese la mano e la
strinse.
Bella ascoltò la storia e si lasciò cullare, proprio come sua figlia,
sicura che tutto era come avrebbe dovuto essere.
Il loro uomo era ritornato da loro…ed era lì per restare.