lunedì 26 settembre 2011

J.R.WARD : Father Mine 3° e 4° Capitolo

3 ° CAPITOLO

La casa era lontana dalla strada sterrata e circondata da grossi
cespugli e alberi frondosi ricoperti di foglie marroni.
L’architettura della cosa era un miscuglio di vari stili e l’unico
elemento che li univa era il fatto che erano stati tutti riprodotti
malamente. Aveva un tetto tipo Cape Cod, ma era a un solo piano
come un ranch; aveva colonne sul porticato come una casa
coloniale ma era rivestita di plastica come una roulotte; era
piantata sulla sua piazzola come un castello eppure aveva la stessa
dignità di un cassonetto ammaccato.
Oh, ed era dipinta di verde. Tipo, verde pisello.
Vent’anni prima probabilmente il posto era stato costruito da un
uomo di città dotato di cattivo gusto che cercava di rifarsi una vita
nei panni del gentiluomo di campagna. Adesso tutto era lasciato
andare, tranne per una cosa: la porta era fatta di acciaio
inossidabile, splendente e fresca come una rosa, e rinforzata tipo
quelle che puoi trovare nei reparti psichiatrici o in prigione.
E sulle finestre erano inchiodate delle assi di legno.
Z si accucciò dietro la carcassa arrugginita di quella che era stata una Trans Am dell’92 e rimase in attesa che le nuvole si addensassero e coprissero la luna tanto da permettergli di muoversi. Dall’altro lato del giardino invaso dalle erbacce e del
vialetto ricoperto di ghiaia, Rhage aspettava dietro una quercia.
Davvero l’unico albero abbastanza grande per nascondere il
figlio di puttana.
La Fratellanza aveva scoperto il posto la notte prima per pura
fortuna. Z era in centro città a perlustrare il parco d’aghi sotto i
ponti di Caldwell quando aveva beccato un paio di scagnozzi
intenti a gettare un corpo nel fiume Hudson. I due si erano disfatti
del cadavere in modo veloce e professionale: una berlina anonima

si era avvicinata, due ragazzi con felpe nere con cappuccio erano

scesi e si erano diretti al bagagliaio, il corpo preso per le spalle e
le gambe, i resti buttati nella corrente.
Splish, splash, a farsi un bagno.
Z si era trovato a quasi tre metri di distanza più in giù lungo il
fiume, così quando il morto era passato galleggiando, aveva visto
dalla smorfia sulla bocca che si trattava di un maschio umano.
Normalmente questo sarebbe stato la causa per non fare
assolutamente niente. Se qualcuno si era ritrovato in una scena del
Padrino, non erano certo affari della Fratellanza.
Ma il vento aveva cambiato direzione e gli aveva portato una
zaffata di qualcosa di dolce come zucchero filato.
C’erano solo due cose che Z conosceva con quell’odore e che
camminassero eretti: le vecchiette e il nemico della sua razza.
Considerando che era improbabile che Berry White e Bea Arthur
fossero sotto quei cappucci a dare sfogo al proprio lato Tony
Soprano, allora voleva dire che c’erano due lessers
poco più su.

Quindi la faccenda era decisamente sulla lista delle cosa da fare di
Z.
Con perfetto tempismo, la coppia di cacciatori si mise a litigare.

Mentre finivano naso contro naso scambiandosi qualche spinta e
qualche colpo, Z si smaterializzarò accanto al pilone più vicino
alla berlina. La targa sul quel catorcio di Impala era 818 NPA, e
non sembrava esserci nessun altro passeggero né della varietà
stecchiti né di quella vivi.
In un batter d’occhio, Z si smaterializzarò di nuovo, questa volta
sul tetto del magazzino che fiancheggiava il fiume. Dalla sua
posizione strategica, attese con il telefono attaccato all’orecchio e
una linea aperta con Qhuinn, puntellandosi contro le folate di
vento che salivano dal culo dell’edificio.
I lessers di solito non uccidevano gli umani. Era una perdita di
tempo, per un verso, perché non ti faceva guadagnare punti con
l’Omega, e un mucchio di problemi se venivi preso, per l’altro.

Detto questo, se qualcuno vedeva qualcosa che non avrebbe

dovuto, i cacciatori non avrebbero esitato a spedirlo verso la sua
ricompensa eterna.
Quando l’Impala finalmente uscì da sotto il ponte, svoltò a destra
e si diresse lontano dal centro città. Z parlò al telefono, e un
momento dopo emerse un Hummer nero proprio da dove l’Impala
era uscita.
Qhuinn e John Matthew stavano passando la serata libera con
Blay allo Zerosum, ma quei ragazzi erano sempre pronti
all’azione. Non appena Z aveva chiamato, i tre erano corsi verso
l’auto nuova di pacca di Qhuinn, che era stata parcheggiata a un
isolato e mezzo di distanza.
Secondo le istruzioni di Z, i ragazzi avevano messo a tavoletta
per raggiungere la berlina. Mentre si avvicinavano, Z teneva
d’occhio i lessers, dematerializzandosi dalla cima di un edificio
all’altro mentre i pezzi di merda proseguivano lungo la riva del
fiume. Ringraziando la fottuta fortuna, i cacciatori non entrarono
in autostrada o sarebbero potuti sfuggire.
Qhuinn aveva delle doti dietro il volante e una volta che
l’Hummer si fu attaccato al SUV in modo affidabile, Z smise di
fare l’Uomo Ragno e lasciò i ragazzi a fare il loro lavoro. Dopo
circa quindici chilometri, Rhage diede loro il cambio con la sua
GTO giusto per confondere le acque e ridurre il rischio che i
lessers si rendessero conto di essere pedinati.
Appena prima dell’alba, Rhage li aveva seguiti fino a questo
posto, ma era stato troppo tardi per qualunque tipo di infiltrazione.
Stasera era il seguito. Alla grande.
E guarda, l’Impala se ne stava bella bella sul vialetto.
Quando le nuvole fecero finalmente la loro parte, Z diede il
segnale a Hollywood e i due si dematerializzarono ai lati della
porta d’ingresso. Un breve ascolto rivelò discussione in corso, le
voci erano le stesse che Z aveva sentito vicino al fiume Hudson la

notte precedente. Evidentemente la coppia era ancora allo stadio

acqua e olio.
Tre, due…uno…
Rhage aprì la porta con un calcio tanto forte che l’anfibio lasciò
un’ammaccatura sul pannello di metallo.
I due lessers nella stanza si girarono e Z non diede loro neanche
una possibilità di reagire. La canna della sua SIG ad aprire la
strada, Z li prese entrambi in pieno petto e i proiettili li fecero
girare come trottole.
Rhage ci andò giù col pugnale, saltando in avanti e colpendo
prima uno e poi l’altro. Quando i lampi di luce bianca e i forti
suoni scemarono, il fratello saltò in piedi e si immobilizzò come
una statua.
Né Z né Rhage si mossero. Usando i loro sensi, passarono al
setaccio il silenzio della casa, in cerca di qualunque cosa
suggerisse altri inquilini.
Il lamento che gorgogliò in tutta quella quiete proveniva dal
retro, e Z si mosse velocemente verso il suono, canna della pistola
sempre per prima. In cucina la porta della cantina era aperta, e Z si
smaterializzarò sulla sua sinistra. Con un movimento veloce della
testa diede un’occhiata giù per le scale. Sul fondo una lampadina
nuda pendeva dai cavi rossi e neri, ma la pozza di luce non
mostrava altro che assi del pavimento macchiate.
Z usò la propria volontà per spegnere la luce giù in basso e
Rhage gli assicurò copertura mentre Z bypassava gli scalini
malfermi e si dematerializzava nell’oscurità.
Al piano di sotto Z sentì l’odore del sangue fresco e alla sua
sinistra udì il rumore ritmico dei denti che battono.
Usò la propria volontà per riaccendere la luce…e rimase senza
fiato.
Un vampiro civile era legato mani e piedi ad un tavolo. Era nudo
e ricoperto di lividi. Invece di guardare Z, chiuse forte gli occhi,

come se non potesse sopportare di sapere quello che stava per

raggiungerlo.
Per un momento Z non riuscì a muoversi. Era il suo personale
incubo in technicolor, e la realtà si distorse tanto che non fu più
sicuro se chi era legato al tavolo fosse lui stesso o il ragazzo che
era venuto a salvare.
“Z?” disse Rhage dal piano di sopra. “C’è niente lì?”
Z si riscosse e si schiarì la gola. “Ci sono.”
Mentre si avvicinava al civile, disse piano nella Lingua Antica,
“Stai calmo.”
Gli occhi del vampiro si spalancarono e la testa scattò in avanti.
Nello sguardo ci fu incredulità e poi sorpresa.
“Stai calmo.” Z controllò due volte gli angoli del seminterrato, la
vista penetrava l’oscurità in cerca di segni di un sistema di
sicurezza. Tutto ciò che vide fu un mucchio di pareti di cemento e
pavimenti di legno, insieme a vecchie tubature e cavi che
serpeggiavano sul soffitto. Nessun occhio elettronico o nuove
fonti di energia.
Erano da soli e non controllati, ma solo Dio sapeva per quanto
ancora. “Rhage, ancora campo libero?” urlò su per la scala.
“Libero!”
“Un civile.” Z fece una stima del corpo dell’uomo. Era stato
picchiato e anche se non sembrava avere nessuna ferita aperta, non
c’era modo di stabilire se fosse in grado di smaterializzarsi.
“Chiama i ragazzi in caso avessimo bisogno di trasporto.”
“Già fatto.”
Z fece un passo avanti…
Il pavimento si frantumò sotto i suoi piedi, spaccandosi proprio
sotto di lui.
Mentre la gravità lo acciuffava con forza e con mani bramose e
lui precipitava in caduta libera, tutto quello a cui riusciva a
pensare era Bella. A seconda di ciò che giaceva sul fondo, questo
avrebbe potuto essere…

Atterrò su qualcosa che si frantumò all’impatto, schegge di

qualunque cosa fosse gli lacerarono i pantaloni di pelle e le mani
prima di rimbalzare e tagliargli il viso e il collo. Mantenne la prese
sulla pistola perché era stato addestrato a farlo, e perché la fitta di
dolore gli fece contrarre i muscoli dalla testa ai piedi.
Gli ci volle qualche respiro profondo prima di riuscire a riavviare
il cervello e a fare la stima dei danni.
Mentre si sedeva lentamente, il suono dei pezzi di vetro che
cadevano sul pavimento di pietra gli echeggiò intorno. Nel cerchio
di luce che scendeva dalla cantina sopra di lui, Z vide che era
seduto nel bel mezzo di un caleidoscopio di cristalli lucenti…
Era caduto su un lampadario grosso quanto un letto.
E il suo piede sinistro era girato all’indietro.
“Cazzo.”
La parte bassa della gamba rotta cominciò a martellare di dolore,
facendogli pensare che se solo non avesse guardato la dannata
cosa, forse avrebbe continuato a non sentire nulla.
Il viso di Rhage spuntò oltre l’orlo del buco frastagliato. “Tutto
okay?”
“Libera il civile.”
“È tutto a posto?”
“La gamba è andata.”
“Andata come?”
“Beh, sto guardando il tacco dell’anfibio e il davanti del
ginocchio allo stesso tempo. E c’è una buona probabilità che stia
per vomitare.” Deglutì con forza, cercando di convincere il
proprio riflesso faringeo a darsi una calmata. “Libera il civile e poi
vedremo come tirarmi fuori di qui. Oh, e rimani sulle file di chiodi
del pavimento. Chiaramente le tavole sono fragili.”
Rhage annuì, poi sparì. Mentre passi pesanti facevano cadere
nuvole di polvere, Z mise una mano nella giacca e tirò fuori la
Maglite. La cosa era grossa come un dito ma poteva emanare un
raggio di luce potente come quello dei fanali di un’auto.

Mentre faceva scorrere la cosa in giro, il problema alla gamba lo

infastidiva un po’ meno. “Che…diavolo?”
Era come stare in una tomba egizia. La stanza misurava dodici
metri per lato e traboccava di oggetti che luccicavano, dai quadri a
olio nelle cornici dorate ai candelabri d’argento, dalle statue
rivestite di pietre preziose a interi mucchi di posateria d’argento. E
dall’altra parte della stanza erano accatastate casse che
probabilmente contenevano gioielli, e c’era un fila di circa
quindici valigette di metallo che dovevano essere piene di soldi.
Era un magazzino del saccheggio, riempito con quello che era
stato portato via durante le razzie dell’estate. Tutta quella merda
era appartenuta alla glymera, Z riuscì perfino a riconoscere i volti
in qualcuno dei dipinti.
Un sacco di cose di valore lì sotto. E guarda. Sulla destra, vicino
al pavimento in terra battuta, una luce rossa cominciò a
lampeggiare. La sua caduta aveva fatto scattare il sistema
d’allarme.
La testa di Rhage rispuntò. “Il civile è libero, ma non riesce a
smaterializzarsi. Qhuinn è a meno di un chilometro da qui. Su che
cazzo sei seduto?”
“Un lampadario, e non è neanche la metà della storia. Senti,
stiamo per ricevere compagnia. Sto posto è collegato a un
impianto d’allarme e io l’ho fatto scattare.”
“C’è una scala per venire lì?”
Z si tolse il sudore causato dal dolore passandosi una mano sulla
fronte, la merda era fredda e unta sul dorso della mano
insanguinata. Dopo aver fatto girare la luce intorno, scosse la
testa. “Non ne vedo nessuna, ma devono avere portato il bottino
qui in qualche modo, e sicuro come l’inferno che non è stato
attraverso il pavimento.”
La testa di Rhage si alzò di scatto e il fratello aggrottò la fronte.
Il suono di lui che sfoderava il pugnale era un sospiro di

anticipazione di metallo contro metallo. “Questo o è Qhuinn o è

un cacciatore. Togliti dalla luce mentre sistemo la faccenda.”
Hollywood sparì dal buco nel pavimento, i suoi passi adesso un
quieto sussurro.
Z rimise la pistola nella fondina perché doveva farlo, e tolse
alcuni frammenti di cristallo. Portando il culo giù sul pavimento,
fece leva con il piede buono e sgattaiolò nell’oscurità, diretto
verso la luce di sicurezza. Dopo aver portato il culo vicino alla
dannata cosa, visto che era l’unico spazio vuoto che riusciva a
vedere tra i mucchi di arte e argento, si sistemò contro il muro.
Quando il piano di sopra rimase decisamente troppo tranquillo,
capì che non era Qhuinn con i ragazzi. Eppure non c’era nessun
suono di lotta.
E poi la merda passò da brutta a pessima.
Il “muro” su cui stava appoggiato scivolò via e lui cadde di schiena …ai piedi di un paio di incazzati lessers
dai capelli 
bianchi.

4°  CAPITOLO


C’erano un sacco di cose positive nell’essere una mamma.

Tenere tra le braccia i tuoi piccoli e cullarli fino a farli
addormentare era decisamente una di quelle. Così come piegare i

loro vestitini. E nutrirli. E vederli mentre ti guardano con gli occhi

pieni di felicità e di sorpresa appena svegli.

Bella cambiò posizione sulla sedia a dondolo, rimbocco la

coperta sotto il mento di sua figlia, e accarezzò piano la guancia di

Nalla.

Un corollario non tanto bello della maternità, però, era che tutta
la cosa dell’intuito femminile era super intensificata.

Seduta al sicuro nella residenza della Fratellanza, Bella sapeva
che qualcosa non andava. Anche se lei era al sicuro, in una

nursery che veniva dritta da un articolo intitolato “La famiglia

perfetta abita qui”, era come se ci fosse uno spiffero che aleggiava

per la stanza e puzzava di puzzola morta. E anche Nalla aveva

ricevuto quella sensazione. La bimba era stranamente tranquilla e

tesa, gli occhi gialli erano focalizzati in un qualche punto mediano

come se stesse aspettando lo scoppio di un rumore forte.

Naturalmente, il problema con l’intuito, legato alla maternità o
meno che fosse, è che si trattava di una storia senza parole e senza
tempo. Anche se ti fa essere pronta per le cattive notizie, non ci

sono nomi o verbi che si uniscano all’ansia, nessun timbro con la

data e l’ora. Così mentre te ne stai seduta con la paura attaccata al

collo come un freddo straccio bagnato, la tua mente deve

razionalizzare perché quello è il meglio che chiunque possa fare.

Forse era solo il Primo Pasto che le era rimasto sullo stomaco.

Forse era solo ansia passeggera.

Forse…
Diavolo, forse quello che le contorceva le budella non era affatto
intuizione. Forse era dovuto al fatto che aveva raggiunto una

decisione che non le andava giù.

Sì, quella era la causa più probabile. Dopo averci rimuginato
sopra e aver sperato ed essersi preoccupata e aver cercato di

pensare a un modo per uscire dalla situazione con Z, doveva

essere realistica. L’aveva affrontato…e non c’era stata alcuna vera

risposta da parte sua.

Nessun voglio che voi due rimaniate qui. Neanche ci proverò.
Tutto quello che aveva ottenuto da lui era che sarebbe uscito per

combattere.

Che era una specie di risposta, vero?
Guardandosi intorno nella nursery, Bella fece l’elenco delle cose
che avrebbe portato via…non molto, giusto una borsa con le cose

di Nalla e una sacca per lei. Poteva procurarsi un altro cestino per

i pannolini e una culla e un fasciatoio abbastanza facilmente…

Dove sarebbe andata?
La soluzione più semplice era una delle case di suo fratello.
Rehvenge ne aveva parecchie, e tutto quello che doveva fare era

chiedere. Cavolo, quanto era ironico? Dopo aver lottato per

allontanarsi da lui, adesso stava prendendo in considerazione

l’idea di tornare.

Non prendendo in considerazione. Decidendo.
Bella si sporse da un lato, prese il cellulare dalla tasca dei jeans e
chiamò Rehv.

Dopo due squilli, una voce profonda e familiare rispose, “Bella?”
C’era il rumore della musica e si sentiva la gente parlare in

sottofondo, i suoni che fa una folla che compete per lo spazio.

“Ciao.”
“Pronto? Bella? Aspetta un momento, fammi andare nel mio
ufficio.” Dopo una lunga pausa rumorosa, il chiasso si interruppe

di colpo. “Ehi, come state tu e il piccolo miracolo?”

“Ho bisogno di un posto dove stare.”
Silenzio totale. Poi suo fratello disse, “Sarebbe per tre o per
due?”

“Due.”
Un’altra lunga pausa. “Devo ucciderlo quel pazzo bastardo?”
La note fredda e crudele la spaventò un po’, facendole ricordare
che il suo adorato fratello non era un uomo con cui volevi metterti

a cazzaggiare. “Dio, no.”

“Parla, sorella mia. Dimmi cosa sta succedendo.”
La morte era un pacchetto nero che aveva un sacco di forme, pesi

e misure. Comunque, era il genere di cosa che quando ti arriva

sulla porta, ne conosci il mittente senza bisogno di controllare

l’indirizzo o di aprire il pacchetto.

Lo sai e basta.
Mentre Z si ritrovava con la schiena a terra sulla strada di quei
due lessers, sapeva che questo pacchetto era arrivato per corriere

espresso, e l’unica cosa che gli attraversò la mente fu che non era

pronto per riceverlo.

Ovvio, non era il tipo di cosa per cui puoi rifiutarti di firmare.
Sopra di lui, illuminati da una qualche debole luce, i lessers si
immobilizzarono come se lui fosse stata l’ultima cosa che si erano

aspettati di vedere. Poi tirarono fuori le pistole.

Z non aveva un’ultima parola; aveva un’ultima immagine, una
che eclissò completamente l’azione a doppia canna che gli si

parava diritta in faccia. Nella sua mente vide Bella e Nalla insieme

sulla sedia a dondolo nella nursery. Non era un’immagine della

notte precedente quando c’erano stati fazzolettini e occhi arrossati

e il suo gemello con un’espressione seria. Era di un paio di

settimane prima, quando Bella era rimasta a fissare la piccola tra

le sue braccia con una tale tenerezza e amore. Come se l’avesse

percepito sulla porta, Bella aveva alzato gli occhi e per un

momento l’amore che aveva negli occhi aveva avvolto anche lui.

Due colpi di pistola risuonarono, e la cosa più strana fu che

l’unico dolore che avvertì fu quello provocato dal rumore nelle

sue orecchie.

Seguirono due rumori di caduta, che echeggiarono contro le
ricchezze rubate.

Z alzò la testa. Qhuinn e Rhage stavano in piedi proprio dietro a
dove si erano trovati i lessers, le pistole che si abbassavano. Blay

e John Matthew erano con loro, anche le loro armi spianate.

“Tutto okay?” chiese Rhage.
No. Quello sarebbe stato un grosso grasso peloso cazzo no. “Sì.

Sì, sono a posto.”

“Blay, torna nel tunnel con me,” disse Rhage. “John e Qhuinn,
voi state qui con lui.”

Z lasciò ricadere la testa e ascoltò due paia di anfibi allontanarsi.
Nello strano silenzio che seguì, un’ondata di nausea lo attraversò e

ogni centimetro del suo corpo cominciò a tremare, le mani

sbattevano come bandiere in un forte vento mentre le portava al

viso per controllarlo.

La mano di John gli toccò un braccio e Z fece un salto. “Sto
bene…sto bene…”

John con i gesti disse, Ti porteremo fuori di qui.
“Come…” Z si schiarì la gola. “Come faccio a sapere che tutto
questo sta succedendo davvero?”

Scusami? Come fai a sapere…?
Zsadist si passò le dita sulla fronte mente cercava di trovare il
punto in cui i cacciatori avevano puntato le loro armi. “Come

faccio a sapere che tutto questo è reale? E non un… Come faccio

a sapere che non sono appena morto?”

John lanciò un’occhiata a Qhuinn dietro di lui come se non
avesse idea di cosa rispondere e stesse cercando un sostegno. Poi

si batté un pugno sul petto con un colpo solido. Io so che sono qui.

Qhuinn si abbassò e fece lo stesso, un pesante suono basso

provenne dal suo torace. “Anch’io.”

Zsadist lasciò di nuovo cadere la testa, il suo corpo tremava così
tanto che i piedi sembravano fare il tip-tap sul pavimento di terra

battuta. “Non lo so…se questo è reale…oh, merda…”

John lo fissò come a misurare la sua crescente agitazione e
cercando di capire che diavolo fare.

All’improvviso il ragazzo allungò una mano verso la gamba rotta
di Z e diede all’anfibio girato al contrario un deciso strattone.

Z scattò seduto e abbaiò, “Figlio-di-puttana!”
Ma andava bene. Il dolore agì come un grosso colpo di spugna

sul suo cervello, togliendo le ragnatele delle visioni e

sostituendole con una chiarezza focalizzata e martellante.

Era decisamente vivo. Lo era davvero.
Quella realizzazione fu seguita da vicino dal pensiero di Bella.
E Nalla.
Doveva raggiungerle.
Z si spostò di lato per prendere il telefono, ma la sua vista
divenne sfocata da quello che stava facendo alla gamba. “Merda.

Puoi prendere il mio telefono? Nella tasca di dietro?”

John lo fece rotolare con cautela, tirò fuori il RAZR e glielo
passò.

“Quindi non credi che ci sia il modo per sistemare sta cosa?”
disse Rehv.

Bella scosse la testa in risposta alla domanda di suo fratello, poi
si ricordò che lui non poteva vederla. “No, non credo. Almeno non

nel breve periodo.”

“Merda. Beh, io sono sempre qui per te, questo lo sai. Vuoi stare
con mahmen?”

“No. Voglio dire, sono contenta quando viene a trovarmi durante
la notte, ma ho bisogno del mio spazio.”

“Perché speri che lui venga a cercarti.”
“Non lo farà. Questa volta è diverso. Nalla…ha reso tutto diverso.”
La piccola tirò su col naso e si rintanò più vicina nel suo angolo
preferito tra l’avambraccio e il seno. Bella tenne fermo il telefono

con la spalla e accarezzò i capelli morbidi come piume che le

stavano crescendo. I riccioli, quando fossero cresciuti, sarebbero

stati multicolori, con ciocche bionde e rosse e castane tutte

mescolate insieme, proprio come quelli del padre se non li avesse

tenuti sempre rasati.

Mentre Rehv rideva imbarazzato, Bella disse, “Cosa?”

“Dopo tutti questi anni a lottare per tenerti sulla mia proprietà,
adesso non voglio che tu te ne vada dalla residenza della

Fratellanza. Sul serio, niente è più sicuro di quel posto…ma ho

una casa vicino al fiume Hudson che è sicura. È vicina a dove vive

una mia amica, non è niente di straordinario, ma c’è un tunnel che

unisce le due proprietà. Lei ti terrà al sicuro.”

Dopo che le ebbe dato l’indirizzo, Bella mormorò, “Grazie.
Metterò in valigia alcune cose e chiederò a Fritz di portarmi lì fra

un’ora.”

“Ti farò riempire subito il frigo.”
Il telefono fece un bip quando arrivò un messaggio. “Grazie.”
“Glielo hai detto?”
“Z sa cosa sta per capitare. E no, non gli impedirò di vedere
Nalla se lo vuole, ma deve essere lui a decidere di venire a

vederla.”

“E tu?”
“Lo amo…ma tutto questo è stato davvero difficile per me.”
Terminarono la telefonata poco dopo, e mentre spostava
 il telefono lontano dall’orecchio, Bella vide che c’era un messaggio
di Zsadist:

MI DISPIACE. TI AMO. PER FAVORE PERDONAMI…NON
POSSO VIVERE SENZA DI TE.

  
Bella si morse un labbro e sbatté forte le palpebre. E gli mandò
un messaggio.




Prossimo lunedì verranno pubblicati i cap. 5 e 6

1 commento:

  1. voi non sapete la gioia che mi avete dato! pensavo che non l'avrei mai potuto leggere vi ringrazio di cuore, continuate cosi!^^

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