lunedì 26 settembre 2011

IL CORVO di Edgar Allan Poe

Il Corvo

Edgar Allan Poe

Una volta in una fosca mezzanotte, mentre io meditavo, debole e stanco,
sopra alcuni bizzarri e strani volumi d'una scienza dimenticata;
mentre io chinavo la testa, quasi sonnecchiando, d'un tratto, sentii un colpo leggero,
come di qualcuno che leggermente picchiasse, pichiasse alla porta della mia camera.
"È qualche visitatore, mormorai, che batte alla porta della mia camera"
Questo soltanto, e nulla più.

Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre,
e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento.
Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre
dai miei libri un sollievo al dolore, al dolore per la mia perduta Eleonora,
e che nessuno chiamerà in terra, mai più.

E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea,
facendomi trasalire, mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima,
sicchè, in quell'istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo:
"È qualche visitatore, che chiede supplicando d'entrare, alla porta della mia stanza.
"Qualche tardivo visitatore, che supplica d'entrare alla porta della mia stanza;
è questo soltanto, e nulla più".

Subitamente la mia anima divenne forte; e non esitando più a lungo:
"Signore, dissi, o Signora, veramente io imploro il vostro perdono;
"ma il fatto è che io sonnecchiavo: e voi picchiaste sì leggermente,
"e voi sì lievemente bussaste, bussaste alla porta della mia camera,
"che io ero poco sicuro d'avervi udito". E a questo punto, aprii intieramente la porta.
Vi era solo la tenebra, e nulla più.

Scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito impaurito
sospettoso, sognando sogni, che nessun mortale mai ha osato sognare;
ma il silenzio rimase intatto, e l'oscurità non diede nessun segno di vita;
e l'unica parola detta colà fu la sussurrata parola "Eleonora!"
Soltanto questo, e nulla più.

Ritornando nella camera, con tutta la mia anima in fiamme;
ben presto udii di nuovo battere, un poco più forte di prima.
"Certamente, dissi, certamente è qualche cosa al graticcio della mia finestra".
Io debbo vedere, perciò, cosa sia, e esplorare questo mistero.
È certo il vento, e nulla più.

Quindi io spalancai l'imposta; e con molta civetteria, agitando le ali,
si avanzò un maestoso corvo dei santi giorni d'altri tempi;
egli non fece la menoma riverenza; non esitò, nè ristette un istante
ma con aria di Lord o di Lady, si appollaiò sulla porta della mia camera,
s'appollaiò, e s'installò, e nulla più.

Allora, quest'uccello d'ebano, inducendo la mia triste fantasia a sorridere,
con la grave e severa dignità del suo aspetto:
"Sebbene il tuo ciuffo sia tagliato e raso, io dissi, tu non sei certo un vile,
"orrido, torvo e antico corvo errante lontanto dalle spiagge della Notte
"dimmi qual'è il tuo nome signorile sulle spiagge avernali della Notte!"
Disse il corvo: "Mai più".

Mi meravigliai molto udendo parlare sì chiaramente questo sgraziato uccello,
sebbene la sua risposta fosse poco sensata, fosse poco a proposito;
poichè non possiamo fare a meno d'ammettere, che nessuna vivente creatura umana,
mai, finora, fu beata dalla visione d'un uccello sulla porta della sua camera,
con un nome siffatto: "Mai più".

Ma il corvo, appollaiato solitario sul placido busto, profferì solamente
quest'unica parola, come se la sua anima in quest'unica parola avesse effusa.
Niente di nuovo egli pronunziò, nessuna penna egli agitò -
finchè in tono appena più forte di un murmure, io dissi: "Altri amici mi hanno già abbandonato,
domani anch'esso mi lascerà, come le mie speranze, che mi hanno già abbandonato".
Allora, l'uccello disse: "Mai più".

Trasalendo, perchè il silenzio veniva rotto da una risposta sì giusta:
"Senza dubbio, io dissi, ciò ch'egli pronunzia è tutto il suo sapere e la sua ricchezza,
"presi da qualche infelice padrone, che la spietata sciagura
"perseguì sempre più rapida, finchè le sue canzoni ebbero un solo ritornello,
"finchè i canti funebri della sua Speranza ebbero il malinconico ritornello:
"Mai,, mai più".

Ma il corvo inducendo ancora tutta la mia triste anima al sorriso,
subito volsi una sedia con ricchi cuscini di fronte all'uccello, al busto e alla porta;
quindi, affondandomi nel velluto, mi misi a concatenare
fantasia a fantasia, pensando che cosa questo sinistro uccello d'altri tempi,
che cosa questo torvo sgraziato orrido scarno e sinistro uccello d'altri tempi
intendea significare gracchiando: "Mai più".

Così sedevo, immerso a congetturare, senza rivolgere una sillaba
all'uccello, i cui occhi infuocati ardevano ora nell'intimo del mio petto;
io sedeva pronosticando su ciò e su altro ancora, con la testa reclinata adagio
sulla fodera di velluto del cuscino su cui la lampada guardava fissamente;
ma la cui fodera di velluto viola, che la lampada guarda fissamente
Ella non premerà, ah!, mai più!

Allora mi parve che l'aria si facesse più densa, profumata da un incensiere invisibile,
agiato da Serafini, i cui morbidi passi tintinnavano sul soffice pavimento,
, "Disgraziato!, esclamai, il tuo Dio per mezzo di questi angeli ti à inviato
"il sollievo, il sollievo e il nepente per le tue memorie di Eleonora!
"Tracanna, oh! tracanna questo dolce nepente, e dimentica la perduta Eleonora!
Disse il corvo: "Mai più".

- "Profeta, io dissi, creatura del male!, certamente profeta, sii tu uccello o demonio!-
, "Sia che il tentatore l'abbia mandato, sia che la tempesta t'abbia gettato qui a riva,
"desolato, ma ancora indomito, su questa deserta terra incantata
"in questa visitata dall'orrore, dimmi, in verità, ti scongiuro-
"Vi è, vi è un balsamo in Galaad? dimmi, dimmi, ti scongiuro.-
Disse il corvo: "Mai più".

- "Profeta!, io dissi, creatura del male!, Certamente profeta, sii tu uccello o demonio!
"Per questo Cielo che s'incurva su di noi, per questo Dio che tutti e due adoriamo-
"dì a quest'anima oppressa dal dolore, se, nel lontano Eden,
"essa abbraccerà una santa fanciulla, che gli angeli chiamano Eleonora,
"abbraccerà una rara e radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Eleonora".

- "Sia questa parola il nostro segno d'addio, uccello o demonio!", io urlai, balzando in piedi.
"Ritorna nella tempesta e sulla riva avernale della notte!
"Non lasciare nessuna piuma nera come una traccia della menzogna che la tua anima ha profferita!
"Lascia inviolata la mia solitudine! Sgombra il busto sopra la mia porta!"
Disse il corvo: "Mai più".

E il corvo, non svolazzando mai, ancora si posa, ancora è posato
sul pallido busto di Pallade, sovra la porta della mia stanza,
e i suoi occhi sembrano quelli d'un demonio che sogna;
e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento,
e la mia, fuori di quest'ombra, che giace ondeggiando sul pavimento
non si solleverà mai più!
(Italian translation by Antonio Bruno )


Der Rabe

Edgar Allan Poe

Einst, um eine Mittnacht graulich, da ich trübe sann und traulich
müde über manchem alten Folio lang vergess'ner Lehr' -
da der Schlaf schon kam gekrochen, scholl auf einmal leis ein Pochen,
gleichwie wenn ein Fingerknochen pochte, von der Türe her.
"'s ist Besuch wohl", murrt' ich, "was da pocht so knöchern zu mir her -
das allein - nichts weiter mehr."
Ah, ich kann's genau bestimmen: im Dezember war's, dem grimmen,
und der Kohlen matt Verglimmen schuf ein Geisterlicht so leer.
Brünstig wünscht' ich mir den Morgen; - hatt' umsonst versucht zu borgen
von den Büchern Trost dem Sorgen, ob Lenor' wohl selig wär' -
ob Lenor', die ich verloren, bei den Engeln selig wär' -
bei den Engeln - hier nicht mehr.
Und das seidig triste Drängen in den purpurnen Behängen
füllt', durchwühlt' mich mit Beengen, wie ich's nie gefühlt vorher;
also daß ich den wie tollen Herzensschlag mußt' wiederholen:
"'s ist Besuch nur, der ohn' Grollen mahnt, daß Einlaß er begehr' -
nur ein später Gast, der friedlich mahnt, daß Einlaß er begehr'; -
ja, nur das - nichts weiter mehr."
Augenblicklich schwand mein Bangen, und so sprach ich unbefangen:
"Gleich, mein Herr - gleich, meine Dame um Vergebung bitt' ich sehr;
just ein Nickerchen ich machte, und Ihr Klopfen klang so sachte,
daß ich kaum davon erwachte, sachte von der Türe her -
doch nun tretet ein!" - und damit riß weit auf die Tür ich - leer!
Dunkel dort - nichts weiter mehr.
Tief ins Dunkel späht' ich lange, zweifelnd, wieder seltsam bange,
Träume träumend, wie kein sterblich Hirn sie träumte je vorher;
doch die Stille gab kein Zeichen; nur ein Wort ließ hin sie streichen
durch die Nacht, das mich erbleichen ließ: das Wort "Lenor'?" so schwer -
selber sprach ich's, und ein Echo murmelte's zurück so schwer:
nur "Lenor'!" - nichts weiter mehr.
Da ich nun zurück mich wandte und mein Herz wie Feuer brannte,
hört' ich abermals ein Pochen, etwas lauter denn vorher.
"Ah, gewiß", so sprach ich bitter, "liegt's an meinem Fenstergitter;
Schaden tat ihm das Gewitter jüngst - ja, so ich's mir erklär', -
schweig denn still, mein Herze, laß mich nachsehn, daß ich's mir erklär!: -
's ist der Wind - nichts weiter mehr!"
Auf warf ich das Fenstergatter, als herein mit viel Geflatter
schritt ein stattlich stolzer Rabe wie aus Sagenzeiten her;
Grüßen lag ihm nicht im Sinne; keinen Blick lang hielt er inne;
mit hochherrschaftlicher Miene flog empor zur Türe er -
setzt' sich auf die Pallas-Büste überm Türgesims dort - er
flog und saß - nichts weiter mehr.
Doch dies ebenholzne Wesen ließ mein Bangen rasch genesen,
ließ mich lächelnd ob der Miene, die es macht' so ernst und hehr;
"Ward Dir auch kein Kamm zur Gabe", sprach ich, "so doch stolz Gehabe,
grauslich grimmer alter Rabe, Wanderer aus nächtger Sphär' -
sag, welch hohen Namen gab man Dir in Plutos nächtger Sphär'?"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
Staunend hört' dies rauhe Klingen ich dem Schnabel sich entringen,
ob die Antwort schon nicht eben sinnvoll und bedeutungsschwer;
denn wir dürfen wohl gestehen, daß es keinem noch geschehen,
solch ein Tier bei sich zu sehen, das vom Türgesimse her -
das von einer Marmor-Büste überm Türgesimse her
sprach, es heiße "Nimmermehr."
Doch der droben einsam ragte und dies eine Wort nur sagte,
gleich als schütte seine Seele aus in diesem Worte er,
keine Silbe sonst entriß sich seinem düstren Innern, bis ich
seufzte: "Mancher Freund verließ mich früher schon ohn' Wiederkehr -
morgen wird er mich verlassen, wie mein Glück - ohn' Wiederkehr."
Doch da sprach er, "Nimmermehr!"
Einen Augenblick erblassend ob der Antwort, die so passend,
sagt' ich, "Fraglos ist dies alles, was das Tier gelernt bisher:
's war bei einem Herrn in Pflege, den so tief des Schicksals Schläge
trafen, daß all seine Wege schloß dies eine Wort so schwer -
daß all seiner Hoffnung Lieder als Refrain beschloß so schwer
dies 'Nimmer - nimmermehr.'"
Doch was Trübes ich auch dachte, dieses Tier mich lächeln machte,
immer noch, und also rollt' ich stracks mir einen Sessel her
und ließ die Gedanken fliehen, reihte wilde Theorien,
Phantasie an Phantasien: wie's wohl zu verstehen wär' -
wie dies grimme, ominöse Wesen zu verstehen wär',
wenn es krächzte "Nimmermehr."
Dieses zu erraten, saß ich wortlos vor dem Tier, doch fraß sich
mir sein Blick ins tiefste Innre nun, als ob er Feuer wär';
brütend über Ungewissem legt' ich, hin und her gerissen,
meinen Kopf aufs samtne Kissen, das ihr Haupt einst drückte hehr -
auf das violette Kissen, das ihr Haupt einst drückte hehr,
doch nun, ach! drückt nimmermehr!
Da auf einmal füllten Düfte, dünkt' mich, weihrauchgleich die Lüfte,
und seraphner Schritte Klingen drang vom Estrich zu mir her.
"Ärmster", rief ich, "sieh, Gott sendet seine Engel Dir und spendet
Nepenthes, worinnen endet nun Lenor's Gedächtnis schwer; -
trink das freundliche Vergessen, das bald tilgt, was in Dir schwer!"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
"Ah, Du prophezeist ohn' Zweifel, Höllenbrut! Ob Tier, ob Teufel -
ob Dich der Versucher sandte, ob ein Sturm Dich ließ hierher,
trostlos, doch ganz ohne Bangen, in dies öde Land gelangen,
in dies Haus, von Graun umfangen, - sag's mir ehrlich, bitt' ich sehr -
gibt es- gibt's in Gilead Balsam? - sag's mir - sag mir, bitt' Dich sehr!"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
"Ah! dann nimm den letzten Zweifel, Höllenbrut - ob Tier, ob Teufel!
Bei dem Himmel, der hoch über uns sich wölbt - bei Gottes Ehr' -
künd mir: wird es denn geschehen, daß ich einst in Edens Höhen
darf ein Mädchen wiedersehen, selig in der Engel Heer -
darf Lenor', die ich verloren, sehen in der Engel Heer?"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
"Sei denn dies Dein Abschiedszeichen", schrie ich, "Unhold ohnegleichen!
Hebe Dich hinweg und kehre stracks zurück in Plutos Sphär'!
Keiner einz'gen Feder Schwärze bliebe hier, dem finstern Scherze
Zeugnis! Laß mit meinem Schmerze mich allein! - hinweg Dich scher!
Friß nicht länger mir am Leben! Pack Dich! Fort! Hinweg Dich scher!"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
Und der Rabe rührt' sich nimmer, sitzt noch immer, sitzt noch immer
auf der bleichen Pallas-Büste überm Türsims wie vorher;
und in seinen Augenhöhlen eines Dämons Träume schwelen,
und das Licht wirft seinen scheelen Schatten auf den Estrich schwer;
und es hebt sich aus dem Schatten auf dem Estrich dumpf und schwer
meine Seele - nimmermehr.
German translation by Hans Wollschläger
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