venerdì 30 settembre 2011

SHERRILYN KENYON : serie DARK HUNTERS

Sherrilyn Kenyon, autrice davvero prolifica, quotata e creatrice di molte serie, si avvale anche dello pseudonimo di Kinley MacGregor con cui scrive, principalmente, romance storici (che, le lettrici de I Romanzi Mondadori, collana storico-romantica da edicola, già conoscono). Nata nel 1965, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Darrel Award e ilPearl Award per i romanzi firmati a suo nome o sotto lo pseudonimo di Kinley MacGregor. Le sue opere hanno venduto più di dieci milioni di copie e sono state stampate in ventisei Paesi. Stabilmente presente ai vertici delle classifiche di New York Times e USA Today, è un’autrice ormai di culto in Germania, Inghilterra e Australia. Il suo sito internet registra 120.000 contatti la settimana. Della serie Dark Hunters Fanucci Editore ha pubblicato Anche i diavoli piangono (2008), Fantasy Lover (2009) e Notte di piaceri (2010). Alcuni libri della MacGregor - la serie Lords of Avalon, ad esempio - sono sia storici che paranormal.
Notte di piaceri, di Sherrilyn Kenyon, seguito di Fantasy Lover e secondo volume per i Dark-Hunters
Chi sono i Dark-Hunters? Sono uomini spettacolari, dotati di grande bellezza e fascino. Vivono nel nostro mondo, ma sono antichi guerrieri greci, spartani, traci, sumeri. La Dea Artemide li ha resi immortali, richiamandoli dalle soglie della morte, per consentire loro un ultimo atto di vendetta nei confronti di chi li ha traditi/uccisi, ottenendone, in cambio, l’anima e l’impegno a diventare i protettori del genere umano. I nemici degli umani sono i Daimons, cioè gli Apolliti, diretti discendenti del Dio Apollo - e da lui maledetti - che, all’età di 27 anni, si trasformano in creature del male e cominciano a nutrirsi di sangue e anime umane e che, comunemente, vengono chiamati vampiri.
Le gamma di rapporti tra Dark-Hunters, umani, Apolliti-pre trasformazione, Daimons, Dei pagani “modernizzati” ed altre categorie create dalla Kenyon, come Dream-Hunters e Were-Hunters, rendono la serie molto ricca di potenziali (e altamente sensuali) “amori impossibili/contrastati/pericolosi/non cercati…” (elemento fondante della letteratura romance, paranormal o meno) e di vicende parallele e situazioni generali decisamente particolari. Questa è la storia di Notte di Piaceri: Amanda è una ragazza tranquilla, una ragioniera. Desidera una vita lineare, senza grossi scossoni. La sua famiglia è davvero strana, a dir la verità, ma lei vuole assolutamente un’esistenza all’insegna della normalità (anche se adesso non è un buon momento per lei…). A causa di un errore di identità, una notte, viene svegliata e ammanettata a un uomo in stato di incoscienza. Kyrian di Tracia.
Kyrian (l’amico di Julian, citato in Fantasy Lover) era un principe e un comandante macedone, amato dalle donne e rispettato dagli uomini. Tradito malamente dalla moglie, ha venduto l’anima per un atto di vendetta ed ora cammina nel mondo e nell’oscurità come Dark-Hunter, per dare la caccia ai Daimons («vampires on steroids with a God complex»). Kyrian sta facendo il suo lavoro quando, all’improvviso, si sveglia ammanettato ad Amanda.
Poichè le manette sono un po’ particolari, per rimuoverle ci vorrà l’intervento di un Dio. E mentre Amanda e Kyrian cercheranno di rimanere vivi abbastanza a lungo per farsi liberare, combatteranno, salveranno la gemella di Amanda, parleranno, faranno sesso, s’innamoreranno, cureranno entrambi le proprie ferite, reclameranno l’anima di Kyrian, sconfiggeranno un pericoloso mezzo-Daimon e permetteranno ai poteri innati di Amanda di manifestarsi.
Il tutto, toccando ogni genere di emozione, dalla più triste e tragica alla più gioiosa, passando attraverso la sensualità, l’azione e l’ironia.
Inoltre si comincia a costruire l’incredibile mondo-urban fantasy della serie e a delinearsi il gruppo dei Dark-Hunters e dei personaggi che ruotano attorno a loro.
Dalle lettrici abituali di paranormal romance Notte di piaceri viene considerato un romanzo molto bello e appassionante .

Dark-Hunter series:
  • 1. Fantasy Lover (Fantasy Lover, luglio 2009) (Prequel): Grace Alexander, 29 anni, è single da quattro anni dopo una terribile esperienza con un uomo egoista e insensibile. Ma la sua amica Selena sa esattamente cosa ci vuole per lei: ha per le mani un antico volume nel quale è custodito uno splendido esemplare di uomo, su cui è stata lanciata una maledizione che lo costringe a restare relegato tra quelle pagine per l’eternità, a meno che, con un incantesimo, non venga evocato al fine di diventare per un mese lo schiavo d’amore di colei che lo richiama. Julian il Macedone, metà uomo, metà dio, è così incredibilmente bello che ogni donna cade ai suoi piedi e ogni uomo finisce per odiarlo. Quando Grace lo evoca, Julian è già rassegnato e pronto a soddisfare ogni sua fantasia sessuale. Lei però ha in mente tutt’altro.
  • 2. Night Pleasures (Notte di piaceri)
  • 3. Night Embrace (L’abbraccio della notte, Fanucci  2010):Talon è un Cacciatore oscuro, un guerriero reso immortale dalla dea Artemide per dare la caccia ai demoni succhia-anime. L’antico capo celtico vive col fardello di un doloroso passato, motivo per cui ha deciso di non provare più alcuna emozione. Sunshine, una giovane donna di buon cuore e solare come il suo nome, è un’artista con la testa perennemente fra le nuvole. Ha un matrimonio fallito alle spalle, ma è piena di sogni e assapora con ardore ogni momento della vita. Quando una notte Sunshine viene assalita dai demoni, è proprio Talon a salvarla da una morte sicura. Il guerriero però rimane ferito, e la giovane lo porta nel proprio appartamento per soccorrerlo. Nonostante le loro diversità, fra i due si crea una strana alchimia, apparentemente inspiegabile, il cui segreto si cela nei loro cuori e nel loro passato. Il loro amore però dovrà superare ardue prove, come la vendetta di un antico dio gallico e un diabolico piano ordito da potenti nemici in vista del Mardi Gras di New Orleans.
  • 4. Dance with the Devil ( Danza con il Diavolo , Fanucci 2011)
  • 5. Kiss of the Night  ( Il bacio della Notte , 27/10/11 ed. Fanucci):Wulf Tryggvasen è un antico guerriero vichingo che possiede un vantaggioso, ma estremamente irritante, potere amnesico. A causa di questa sua singolarità, nessuno tra quelli che lo incontrano può ricordarsi di lui dopo soli cinque minuti. E questo, se da un lato gli facilita i piacevoli incontri notturni, dall’altro gli rende quasi impossibile costruire una relazione duratura; e senza un vero amore, come ogni Cacciatore oscuro sa bene, non potrà mai rientrare in possesso della sua anima. Una sera, mentre si trova per caso in un club, Wulf si vede costretto a intervenire per salvare dai demoni un’affascinante sconosciuta. Ma il fato non promette nulla di buono. Quando finalmente riesce a conoscere meglio Cassandra Peters, l’unica donna che può ricordarsi di lui, scopre che lei è una principessa Apollite, la razza maledetta a cui Wulf ha giurato di dare la caccia. A ritmo accelerato, i due dovranno affrontare antiche maledizioni, profezie, e l’ingerenza diretta degli dèi greci per trovare, se tutto andrà per il meglio, la vera felicità tanto sognata
  • 6. Night Play
  • 7. Seize the Night
  • 8. Sins of the Night
  • 9. Unleash the Night
  • 10. Dark side of the Moon
  • 11. Devil may cry (Anche i diavoli piangono, 2008):Se è vero che la vendetta è un piatto da consumare freddo, per Sin, il dio sumero della fertilità che attende da millenni il momento di riprendere i suoi poteri, l’attesa sta ormai finendo… Nato divino prima ancora che l’umanità cominciasse a registrare la sua storia, da millenni Sin attende il momento in cui potrà annientare Artemide: la dea greca l’ha infatti tradito e reso inerme, al pari dei comuni mortali. Kat, zelante servitrice di Artemide, accetta l’incarico di eliminare Sin prima che questi possa annientare la sua padrona: ma finisce per innamorarsi perdutamente della sua vittima e sposarne la causa. Sin infatti è anche alla ricerca di Zakar, il fratello gemello che sembra svanito nel nulla, e deve affrontare un’imminente invasione di vampiri che intendono distruggere l’umanità. I due si troveranno fianco a fianco e combatteranno a costo delle loro stesse vite per la sopravvivenza di tutto il genere umano. Una versione attualizzata della mitologia antica, un romanzo profondamente innovativo in cui prendono vita personaggi, luoghi e temi del mondo classico.
  • 12. Acheron
  • 13. One silent night
  • 14. Bad Moon Rising
  • 15. No Mercy, previsto, in America,  agosto 2010




Da questa serie, è stato recentemente tratto uno spin-off di genere young adult, con protagonista Nick Gautier, aiutante di Kyrian, protagonista di Notte di piaceri. Il primo libro, “Infinity” è arrivato a Marzo in tutti gli scaffali del nostro paese, garantendo un altro successo alla Fanucci. La storia dell’incontro tra Nick e Kyrian è stata narrata sommariamente dallo stesso giovane scudiero (così sono definiti gli aiutanti diurni dei Dark Hunters) in Notte di Piaceri, quindi possiamo inserire questo nuova serie di libri prima del’inizio degli eventi narrati in Fantasy Lover. In America ci sono stati molti riscontri positivi, chissà se da noi sarà lo stesso, ma vista la fantasia della Kenyon e il suo stile fresco e scorrevole, non dovrebbero esserci dubbi.

INFINITY
Trama: A 14 anni Nick Gautier, un ragazzo come tanti, vive nel quartiere francese di New Orleans: ama frequentare le cattive compagnie, è attratto dall’illegalità e quello che ha imparato nella vita è frutto degli insegnamenti della strada. Una notte decide di comportarsi onestamente e si rifiuta di rapinare un turista innocente: una scelta che avrà un prezzo molto alto. Nick pensa di essere ormai spacciato e che la sua vecchia squadra non ci metterà molto a mettersi sulle sue tracce... e invece, inspiegabilmente, quella che sembra la fine di tutto si rivela l’inizio di una nuova vita. Kyrian di Tracia non è solo un comandante macedone a caccia di spietati demoni, è un Dark Hunter, e grazie a lui Nick si mette in salvo e conosce un mondo di cui non ha mai immaginato l’esistenza. I nuovi nemici fanno sembrare quelli vecchi dei veri incapaci: si tratta di uccidere o essere uccisi, e Nick, nato dalla parte sbagliata, trova dentro di sé una forza inaspettata e inizia a lavorare per i non-morti che popolano il suo quartiere. Il tempo stringe, e a lui non resta che trovare qualcuno disposto ad aiutarlo nella difficile battaglia contro i demoni che non risiedono dentro di lui.   http://www.sherrilynkenyon.com

DANZA CON IL DIAVOLO

Zarek è il più pericoloso di tutti i Cacciatori oscuri: è in grado di eseguire perfettamente gli ordini ed è considerato violento e folle dai suoi compagni. Ha trascorso gli ultimi novecento anni in esilio in Alaska – prigioniero e isolato in mezzo al nulla e incapace di sopportare il sole senza ardere vivo –, e anche per un Cacciatore oscuro abituato al peggio questa, come punizione, non è niente male. Liberato dal suo esilio per combattere i demoni che infestano New Orleans, con la sua cattiva condotta Zarek porta all’esasperazione Artemide, la dea che lo ha creato, che decide di averne avuto abbastanza di lui. Archeron, il leader dei Cacciatori oscuri, convince Artemide a concedere un giusto processo a Zarek prima di condannarlo: sarà Astrid, una ninfa nota per la sua crudeltà, a giudicarlo. E mentre Astrid lotta per mantenere la sua imparzialità di fronte alla crescente attrazione per Zarek – sospettoso, scontroso e rude, ma anche profondamente ferito – Artemide ha già inviato un carnefice per giustiziare il ribelle. Il giorno del verdetto si avvicina e Artemide è pronta a tutto pur di portare a termine la sua vendetta, anche se questo può voler dire distruggere il mondo intero.
ESTRATTO :                              CAPITOLO 1





Acheron Parthenopaeus era un uomo dai molti segreti e
poteri. Come primo Cacciatore oscuro e leader della loro
razza, oltre novemila anni fa aveva assunto il ruolo di cuscinetto
fra loro e Artemide, la dea della caccia che li aveva
creati.
Era un compito che di rado gradiva e una posizione che
aveva sempre odiato. Come una bimba dispettosa, Artemide
godeva nello stuzzicarlo per vedere fin dove riusciva a
spingersi prima che lui la rimproverasse.
La loro era una relazione complicata che si reggeva su un
equilibrio di potere. Lui solo possedeva la capacità di mantenerla
calma e razionale.
Perlomeno la maggior parte del tempo.
Dal canto suo, lei possedeva l’unica fonte di cibo che ad
Acheron serviva per restare umano. Toccante.
Senza Artemide, lui sarebbe diventato un assassino senz’anima,
perfino peggiore dei demoni che davano la caccia
agli umani.
Senza Acheron, lei non avrebbe avuto cuore o coscienza.
La notte del Mardi Gras, lui aveva contrattato uno scambio
con la dea: due settimane al suo servizio in modo che lei
liberasse l’anima di Talon e permettesse al Cacciatore oscuro
di lasciare il suo servizio e trascorrere l’immortalità con
la donna che amava.
Talon era stato liberato dal compito di cacciare vampiri e
altre creature demoniache che si muovevano furtive per la
terra in cerca di vittime sventurate.
                                      9
Rinchiuso all’interno del tempio di Artemide, ad Ash era
proibito usare buona parte dei suoi poteri, e per essere informato
sui progressi della caccia a Zarek doveva assecondare
i capricci della dea.
Conosceva il senso di tradimento che Zarek provava e
questo lo corrodeva dall’interno. Meglio di chiunque altro,
lui sapeva cosa voleva dire essere lasciato completamente
solo, a sopravvivere soltanto grazie all’istinto e circondato
dai nemici.
Ash non riusciva a sopportare il pensiero che uno dei suoi
uomini provasse qualcosa del genere.
«Voglio che richiami Thanatos» disse seduto sul pavimento
di marmo ai piedi di Artemide. Lei era stesa sul suo variopinto
trono d’avorio che gli aveva sempre ricordato un divanetto
troppo imbottito. Era decadente e molle, un puro
esercizio di piacere edonistico.
Artemide non era altro che una creatura devota all’agiatezza.
Sorrise languida rotolandosi sulla schiena. Il suo peplo
bianco semitrasparente mostrava del suo corpo più di quanto
copriva, e assecondando i movimenti della dea si spostò
fino a rivelare ad Ash la metà inferiore di quel corpo femminile.
Disinteressato, lui alzò lo sguardo sulla dea.
Lei fece scorrere un’occhiata calda e lussuriosa sul suo corpo
nudo, tranne per gli attillati pantaloni di pelle nera che
indossava. I suoi vividi occhi verdi scintillarono di soddisfazione
mentre giocherellava con una ciocca dei lunghi capelli
biondi di Ash, che gli coprivano la ferita da morso sul collo.
Artemide era ben nutrita e contenta di essere con lui.
Ash non condivideva nessuna di quelle sensazioni.
«Sei ancora debole, Acheron,» disse lei piano «e non sei in
posizione tale da esigere nulla da me. Inoltre, le tue due settimane
con me sono appena cominciate. Dov’è la sottomissione
che mi hai promesso?»
Ash si alzò lentamente per torreggiare su di lei. Le serrò le
braccia attorno e si abbassò finché i loro nasi quasi non si toccarono.
Gli occhi di Artemide si sgranarono un poco, abbastanza
per fargli capire che, malgrado le sue parole, lei sapeva
chi di loro fosse il più potente, anche se indebolito. «Richiama
il tuo animaletto, Artie. Ti ho detto molto tempo fa che non
c’era bisogno che Thanatos desse la caccia a uno dei miei uomini,
e sono stanco di questo tuo gioco. Lo voglio in gabbia.»
«No» ribatté lei in tono quasi petulante. «Zarek deve
morire. Fine della storia. Nel momento in cui la sua faccia è
comparsa al notiziario della sera mentre stava uccidendo
dei demoni ha esposto al pericolo tutti i Cacciatori oscuri.
Non possiamo permetterci che le autorità umane vengano a
sapere di loro. Se trovassero Zarek...»
«Chi potrebbe trovarlo? È nel mezzo del nulla grazie alla
tua crudeltà.»
«Non l’ho messo io lì: sei stato tu a farlo. Io lo volevo morto
e tu hai rifiutato. È colpa tua se è stato esiliato in Alaska,
perciò non prendertela con me.»
Ash arricciò il labbro. «Non ho intenzione di condannare
a morte un uomo perché tu e i tuoi fratelli vi siete messi a
giocare con la sua vita.»
Voleva un altro destino per Zarek. Ma finora nessuno di
loro aveva cooperato.....


ESTRATTO DEL PRIMO CAPITOLO  (PER GENTILE CONCESSIONE DELL'EDITORE)
Esce IL BACIO DELLA NOTTE (5° serie Dark Hunters) di Sherrilyn Kenyon (Fanucci) -  IN ANTEPRIMA UN ESTRATTO
ThrylosAtlantide.Leggendaria. Mistica. Aurea. Misteriosa. Gloriosa e ma-gica.Alcuni sostengono non sia mai esistita.Ma alcuni sostengono anche di essere al sicuro nel mondo moderno fatto di tecnologia e armi. Al sicuro da tutti gli antichi pericoli. E credono perfino che maghi, guerrieri e draghi siano scomparsi da tempo.Sono degli stupidi che si aggrappano alla loro scienza e alla loro logica, convinti che li possano salvare. Non potranno mai essere liberi né al sicuro, non finché si rifiuteranno di vedere ciò che è proprio davanti ai loro occhi. Poiché tutti i miti e le leggende hanno un fondo di verità, e alle volte la verità non ci rende liberi. Alle volte ci rende ancora più schiavi.Ma venite, o valorosi, e lasciate che vi racconti la storia del più perfetto paradiso che sia mai esistito. Oltre le mitiche Colonne d’Ercole, nel grande mar Egeo, c’era una volta una terra fiera che ospitava un popolo molto più evolu-to di tutti quelli che l’avevano preceduto e che l’avrebbero seguito. Fondata nelle nebbie dei tempi dall’antichissimo dio Archon, Atlantide prese il nome dalla sorella maggiore del dio, Atlantia, il cui significato è ‘leggiadra bellezza’. Archon creò l’isola con l’aiuto dello zio, il dio degli oceani Ydor, e della sorella Eda, ‘terra’, con lo scopo di donarla a sua moglie Apollymi, così da popolare quel continente con la loro divina prole, che avrebbe avuto quindi tutto lo spazio necessa-rio per giocare e crescere.Apollymi pianse di gioia davanti a quel regalo, tanto che le sue lacrime inondarono la terra e resero Atlantide una città dentro la città. Due isole gemelle circondate da cinque corsi d’acqua. Lì avrebbe dato alla luce i suoi figli immortali. Ma si scoprì presto che la grande Distruttrice Apollymi era sterile. Su richiesta di Archon, Ydor parlò a Eda e insieme crearono la razza degli Atlantidei per popolare quelle isole e donare nuovamente gioia al cuore di Apollymi.Funzionò




 


giovedì 29 settembre 2011

LUIS SEPULVEDA


Rimettendo in ordine tra gli scaffali della mia biblioteca mi è "scivolato" tra le mani, un romanzo che ho letto anni fa  e che mi ha molto appassionata " Il vecchio che leggeva romanzi d'amore " di L.  Sepulveda , uno dei miei  scrittori preferiti , per il suo stile  acuto ,  accattivante e pieno di passione .
 Nasce il 4 ottobre del 1949 in una camera d'albergo di Ovalle, nel Cile. I suoi genitori si ritrovarono lì perché messi in fuga a seguito di una denuncia (alla cui base c'erano ragioni politiche) emessa dal nonno materno nei confronti del genero. Così egli passa i primi anni della sua vita a Valparaìso, in compagnia del nonno paterno (l'anarchico andaluso - fuggiasco perchè condannato a morte - Gerardo Sepulveda Tapia, meglio conosciuto come Ricardo Blanco), dello zio Pepe (anch'egli anarchico), e di Salgari, Conrad e Melville, che ben presto gli trasmettono l'amore per la scrittura e per l'avventura.
Adolescente  si iscrive alla Gioventù comunista e diviene redattore del quotidiano "Clarìn". A soli vent'anni ottiene il Premio Casa de las Americas con il suo primo libro di racconti, "Crònicas de Pedro Nadie", e a seguire, una borsa di studio per corsi di drammaturgia della durata di cinque anni, presso l'Università Lomonosov di Mosca, ma vi  resta  solo 4 mesi , a causa della  sua relazione con la professoressa di letteratura slava e moglie del decano dell'Istituto ricerche marxiste ed  è così che la sua vita errabonda prende il via.
Ritorna in Cile, ma ha contrasti con il padre, viene allontanato dalla Gioventù comunista e così decide di militare tra le file dell'Ejercito de Liberacion Nacional in Bolivia; consegue il diploma di regista teatrale, allestisce spettacoli, scrive racconti, lavora alla radio, diviene responsabile di una cooperativa agricola, entra a far parte del partito socialista e della guardia personale di Salvador Allende.
 Sono anni felici per Sepulveda: "I mille giorni del Governo Popolare furono duri, intensi, sofferti e felici. Dormivamo poco. Vivevamo ovunque e in nessun posto. [...] Noi si che abbiamo avuto una gioventù, e fu vitale, ribelle, anticonformista, incandescente, perché si forgiò nel lavoro volontario, nelle fredde notti di azione e propaganda.[...] Studiavamo, leggevamo Marx e Sartre, Gramsci e Ho Chi Minh, il Che e Willy Brandt, Marta Harnecker e Olof Palme [...]. Ascoltavamo i Quilapayun e Janis Joplin, cantavamo con Victor Jara, gli Inti-Illimani e i Mamas and Papas. Ballavamo con Hector Pavez e Margot Lodola, e i quattro ragazzi di Liverpool facevano sospirare i nostri cuori."
Con il colpo di stato del 1973 e la dittatura del generale Pinochet, Sepulveda viene catturato, interrogato, torturato. Per sette mesi resta chiuso in una cella della caserma di Tucapel, uno stanzino largo cinquanta centimetri, lungo un metro e mezzo, e così basso da non potersi mai alzare in piedi. Per due volte deve intervenire Amnesty International, che gli permette di essere scarcerato, e di commutare la condanna a morte in un esilio della durata di otto anni.
Invece di volare in Svezia, dove gli era stata promessa la cattedra di drammaturgia presso l'Università di Uppsala, Sepulveda scappa in Brasile e poi in Paraguay, quindi a Quito (Ecuador), dove riprende a far teatro e partecipa alla spedizione dell'UNESCO dedicata allo studio dell'impatto della civiltà sugli indios Shuar. Per sette mesi dunque vive in Amazzonia, esperienza che sarà alla base di un capolavoro, "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore". Dopo aver ottenuto la cittadinanza nicaraguese (sono gli anni in cui entra a far parte della Brigata Simon Bolivar) e aver vissuto ad Amburgo, dal 1982 al 1986 lavora con Greenpeace. Dal 1996 vive a Gijon, in Spagna, con la compagna Carmen, i figli, e il cane Zarko.
Nelle sue parole c'è l'amore per la Natura (Il vecchio che leggeva romanzi d'amore), la rabbia per l'Ingiustizia (Il potere dei sogni e Cronache dal Cono Sud), la passione per l'Avventura (Patagonia Express), la Dolcezza (Storia di una gabbanella e del gatto che le insegnò a volare). Sa essere intenso ed ironico, scurrile e lirico.
"Storia di una gabbanella e del gatto che le insegnò a volare" è stato trasposto in un film animato nel 1998 da Enzo D'Alò, ma ritroviamo il suo nome anche tra i titoli di coda di "Nowhere" (interpretato da Harvey Keitel) e di "Corazonverde", documentario di cui lo stesso Sepulveda è regista, insieme a Diego Meza.( da biografieonline.it)

Il vecchio che leggeva romanzi d'amore

La storia del vecchio che vive ai margini della foresta amazzonica equadoriana con la sola compagnia dei romanzi  prediletti " che parlavano d'amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare le barbarie umane " , ha appassionato tanti lettori in tutto il mondo. Ma il vero patrimonio di Antonio José Bolívar Proaño è una sapienza speciale, assorbita dalla grande foresta ai tempi in cui viveva immerso nel cuore della selva insieme agli indios shuar: un accordo intimo con i ritmi e i segreti della natura che i gringos, capaci soltanto di sfruttare e distruggere, non sanno capire. Solo un uomo come lui può dunque adempiere al compito ingrato di inseguire e uccidere il tigrillo, il felino accecato dal dolore per lo sterminio dei suoi piccoli, che si aggira minaccioso per vendicarsi sull’uomo. Un canto d’amore dedicato all’ultimo luogo in cui la terra preserva intatta la sua verginità.
La storia di un uomo semplice e del suo rapporto con la natura rappresentata dalla giungla. Antonio come tanti suoi simili, in gioventù ha provato a dominarla quando, giovane colono, si è spinto in luoghi sperduti, ma ne è stato sconfitto ed ha perso tutto, compresa la cosa per lui più importante, l’amore di sua moglie. Accolto dalla tribù degli Shuar ne è diventato parte ed ha imparato ad rispettare le regole di quel mondo all’apparenza selvaggio e crudele, ma nella realtà fatto di sottili equilibri. Vive in solitudine in una capanna di canne in riva al fiume Nangaritza e da un senso alla sua esistenza leggendo romanzi d’amore. Il ritrovamento del cadavere di un uomo bianco e le accuse fatte ai giovani shuar che lo hanno ritrovato, spingono Antonio ad indossare la sua dentiera ed a confrontarsi con quei gringos arroganti e convinti di sapere ogni cosa per dimostrare loro che la morte è stata provocata dall’aggressione da parte di un tigrillo. Ma così come Antonio anche il felino ha perso tutto. I suoi cuccioli sono stati sterminati ed ora lui si aggira minaccioso, palpabile, presente con il suo sguardo di morte. La storia in se potrebbe apparire costruita su cose troppo semplici e forse scontate, ma come sempre nei libri di Sepulveda ciò che conta è la storia nella storia, quella non scritta ma suscitata dentro il lettore, il messaggio non va cercato nelle pagine ,ma nel nostro cuore.
..." Mentre questo romanzo veniva letto ; a Oviedo, dai membri della giuria che pochi giorni dopo gli avrebbero assegnato il Premio Tigre Juan , a molte migliaia di chilometri di distanza e di ignominia una banda di assassini armati - pagati da criminali ancor peggiori , che hanno abiti ben tagliati , unghie curate e dicono di agire in nome del progresso - uccideva uno dei più illustri difensori dell'Amazzonia , una delle figure più rilevanti e coerenti del Movimento Ecologico Universale .
Questo romanzo non potrà più arrivare tra le tue mani , Chico Mendes , caro amico di poche parole e molti fatti , ma il Premio Tigre Juan è anche tuo, e di tutti coloro che continueranno il tuo cammino
il nostro cammino collettivoin difesa di questo mondo , l'unico che abbiamo...." ( l'autore)

Ritratto di gruppo con assenza 


 è l’ultimo libro dell'autore , pubblicato in Italia nel 2010 ( ed. Guanda) il cui titolo originale è “Historias marginales II”, in cui  viene raccontata anche la genesi de " Il vecchio che leggeva romanzi d'amore " e del suo incredibile personaggio.
 Sepúlveda si trovava in Ecuador, nella foresta, insieme a uno shuar. Colti da un improvviso acquazzone, trovarono rifugio nella capanna sperduta di un vecchio, un vecchio che leggeva romanzi d’amore. Da allora, e per anni, questa figura vagò nella sua mente in attesa che una macchina da scrivere le depositasse sulle pagina scritta.
 Lo scrittore  si racconta e racconta viaggi ed esperienze vissute, più col piglio del narratore (o del cronista) che con quello del polemista, nonostante ci siano pagine dure, scritte con tono critico.
Al centro, come è inevitabile, la lontananza forzata dal suo Paese d’origine, il Cile, la guerriglia, i ritratti di personaggi che hanno lottato per la libertà, ma anche brevi storie, accenni a figure che in un certo senso hanno segnato la sua vita. Come quel ragazzo che un giorno, bussando alla sua porta, gli ha chiesto dei libri per la biblioteca del paese, o quel tale che, in un paesino a ottanta chilometri da Santiago del Cile, vive vagheggiando le sue invenzioni tanto ingegnose quanto bizzarre.
Ventiquattro racconti, più il primo che dà il titolo alla raccolta, compongono questo libro  permettono di apprezzare il gusto per le storie (perché, come scrive Sepúlveda, “a tutti piace raccontare storie”) e, soprattutto, hanno il pregio di aiutare a riflettere, grazie alla grande capacità dello scrittore di saper parlare al cuore del lettore e fargli guardare la realtà in un modo diverso.
Filo conduttore di questi racconti è proprio quell’assenza, annunciata fin da subito,  compagna di tutta la lettura : come ad esempio  nell'episodio che dà il titolo al libro, in cui racconta del suo ritorno in Cile( dopo la dittatura)e del ritrovamento di una vecchia foto ,che aveva conservato,che ritrae dei bambini e  che lui vuole ritrovarli, anni dopo, una dittatura dopo, per  scattare la stessa foto con gli stessi, ora cresciuti, ragazzini. Scoprirà che la miseria, l'oppressione hanno segnato quelle vite e trasformato quei bambini sorridenti, ingenui, in ragazzi vissuti, con il desiderio di scappare, già a quell'età senza più entusiasmi e in quella foto c'è anche un'assenza; Marcos spinto dalla fame e dalla disperazione, a quindici anni aveva scippato un sacchetto della spesa in un mercato e un “carabinero” gli aveva sparato mentre scappava colpendolo in testa.
In questi racconti di Sepùlveda ci sono piccoli episodi, il particolare ricordo, ma anche profonde riflessioni, amare, ma anche ironiche. C'è il ricordo continuo dell'orrore del golpe di Pinochet, la dittatura, i desaparecidos, le torture; “non si dimentica né si perdona”, ma anche l'amore per gli animali e per la natura. Racconti intimisti raccontati con la maestria, con la poesia che contraddistingue lo scrittore cileno e che con la sua penna sa far riflettere, indignare, ma anche commuovere.
Apro la porta e vedo un ragazzo […]. Subito spiega che non vuole né soldi né cibo, ma libri, perché nel suo quartiere stanno creando una biblioteca […]. Con lui se ne vanno L’armata a cavallo di Isaak Babel’, un romanzo di Andrea Camilleri, Il ladro di merendine, un altro di Alfonso Mateo-Sagasta, Ladri di inchiostro, e un paio di libri miei. Lo guardo allontanarsi sicuro e deciso. […]
“Ma… stai piangendo?” domanda la mia compagna.
“Certo, piango perché non tutto è perduto” le rispondo.
Non tutto è perduto: viene da sorridere con un sorriso amaro se si confronta la storia di questo ragazzo, con quella dal titolo Un vecchio che non mi piace, che è la storia di un italiano che ha rimpiazzato la serenità normalmente concessa dagli anni con un libertinaggio smisurato.
Leggete il libro per capire di chi si parla (non è difficile indovinare…).  Morale : L’assenza  di legalità... di giustizia.. di rispetto... di cultura...diventa qualcosa che fa male, anche per chi, come noi, spesso cerca nei libri un mondo migliore.


Ringraziamo Tamara per averci inviato la recensione

lunedì 26 settembre 2011

IL CORVO di Edgar Allan Poe

Il Corvo

Edgar Allan Poe

Una volta in una fosca mezzanotte, mentre io meditavo, debole e stanco,
sopra alcuni bizzarri e strani volumi d'una scienza dimenticata;
mentre io chinavo la testa, quasi sonnecchiando, d'un tratto, sentii un colpo leggero,
come di qualcuno che leggermente picchiasse, pichiasse alla porta della mia camera.
"È qualche visitatore, mormorai, che batte alla porta della mia camera"
Questo soltanto, e nulla più.

Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre,
e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento.
Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre
dai miei libri un sollievo al dolore, al dolore per la mia perduta Eleonora,
e che nessuno chiamerà in terra, mai più.

E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea,
facendomi trasalire, mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima,
sicchè, in quell'istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo:
"È qualche visitatore, che chiede supplicando d'entrare, alla porta della mia stanza.
"Qualche tardivo visitatore, che supplica d'entrare alla porta della mia stanza;
è questo soltanto, e nulla più".

Subitamente la mia anima divenne forte; e non esitando più a lungo:
"Signore, dissi, o Signora, veramente io imploro il vostro perdono;
"ma il fatto è che io sonnecchiavo: e voi picchiaste sì leggermente,
"e voi sì lievemente bussaste, bussaste alla porta della mia camera,
"che io ero poco sicuro d'avervi udito". E a questo punto, aprii intieramente la porta.
Vi era solo la tenebra, e nulla più.

Scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito impaurito
sospettoso, sognando sogni, che nessun mortale mai ha osato sognare;
ma il silenzio rimase intatto, e l'oscurità non diede nessun segno di vita;
e l'unica parola detta colà fu la sussurrata parola "Eleonora!"
Soltanto questo, e nulla più.

Ritornando nella camera, con tutta la mia anima in fiamme;
ben presto udii di nuovo battere, un poco più forte di prima.
"Certamente, dissi, certamente è qualche cosa al graticcio della mia finestra".
Io debbo vedere, perciò, cosa sia, e esplorare questo mistero.
È certo il vento, e nulla più.

Quindi io spalancai l'imposta; e con molta civetteria, agitando le ali,
si avanzò un maestoso corvo dei santi giorni d'altri tempi;
egli non fece la menoma riverenza; non esitò, nè ristette un istante
ma con aria di Lord o di Lady, si appollaiò sulla porta della mia camera,
s'appollaiò, e s'installò, e nulla più.

Allora, quest'uccello d'ebano, inducendo la mia triste fantasia a sorridere,
con la grave e severa dignità del suo aspetto:
"Sebbene il tuo ciuffo sia tagliato e raso, io dissi, tu non sei certo un vile,
"orrido, torvo e antico corvo errante lontanto dalle spiagge della Notte
"dimmi qual'è il tuo nome signorile sulle spiagge avernali della Notte!"
Disse il corvo: "Mai più".

Mi meravigliai molto udendo parlare sì chiaramente questo sgraziato uccello,
sebbene la sua risposta fosse poco sensata, fosse poco a proposito;
poichè non possiamo fare a meno d'ammettere, che nessuna vivente creatura umana,
mai, finora, fu beata dalla visione d'un uccello sulla porta della sua camera,
con un nome siffatto: "Mai più".

Ma il corvo, appollaiato solitario sul placido busto, profferì solamente
quest'unica parola, come se la sua anima in quest'unica parola avesse effusa.
Niente di nuovo egli pronunziò, nessuna penna egli agitò -
finchè in tono appena più forte di un murmure, io dissi: "Altri amici mi hanno già abbandonato,
domani anch'esso mi lascerà, come le mie speranze, che mi hanno già abbandonato".
Allora, l'uccello disse: "Mai più".

Trasalendo, perchè il silenzio veniva rotto da una risposta sì giusta:
"Senza dubbio, io dissi, ciò ch'egli pronunzia è tutto il suo sapere e la sua ricchezza,
"presi da qualche infelice padrone, che la spietata sciagura
"perseguì sempre più rapida, finchè le sue canzoni ebbero un solo ritornello,
"finchè i canti funebri della sua Speranza ebbero il malinconico ritornello:
"Mai,, mai più".

Ma il corvo inducendo ancora tutta la mia triste anima al sorriso,
subito volsi una sedia con ricchi cuscini di fronte all'uccello, al busto e alla porta;
quindi, affondandomi nel velluto, mi misi a concatenare
fantasia a fantasia, pensando che cosa questo sinistro uccello d'altri tempi,
che cosa questo torvo sgraziato orrido scarno e sinistro uccello d'altri tempi
intendea significare gracchiando: "Mai più".

Così sedevo, immerso a congetturare, senza rivolgere una sillaba
all'uccello, i cui occhi infuocati ardevano ora nell'intimo del mio petto;
io sedeva pronosticando su ciò e su altro ancora, con la testa reclinata adagio
sulla fodera di velluto del cuscino su cui la lampada guardava fissamente;
ma la cui fodera di velluto viola, che la lampada guarda fissamente
Ella non premerà, ah!, mai più!

Allora mi parve che l'aria si facesse più densa, profumata da un incensiere invisibile,
agiato da Serafini, i cui morbidi passi tintinnavano sul soffice pavimento,
, "Disgraziato!, esclamai, il tuo Dio per mezzo di questi angeli ti à inviato
"il sollievo, il sollievo e il nepente per le tue memorie di Eleonora!
"Tracanna, oh! tracanna questo dolce nepente, e dimentica la perduta Eleonora!
Disse il corvo: "Mai più".

- "Profeta, io dissi, creatura del male!, certamente profeta, sii tu uccello o demonio!-
, "Sia che il tentatore l'abbia mandato, sia che la tempesta t'abbia gettato qui a riva,
"desolato, ma ancora indomito, su questa deserta terra incantata
"in questa visitata dall'orrore, dimmi, in verità, ti scongiuro-
"Vi è, vi è un balsamo in Galaad? dimmi, dimmi, ti scongiuro.-
Disse il corvo: "Mai più".

- "Profeta!, io dissi, creatura del male!, Certamente profeta, sii tu uccello o demonio!
"Per questo Cielo che s'incurva su di noi, per questo Dio che tutti e due adoriamo-
"dì a quest'anima oppressa dal dolore, se, nel lontano Eden,
"essa abbraccerà una santa fanciulla, che gli angeli chiamano Eleonora,
"abbraccerà una rara e radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Eleonora".

- "Sia questa parola il nostro segno d'addio, uccello o demonio!", io urlai, balzando in piedi.
"Ritorna nella tempesta e sulla riva avernale della notte!
"Non lasciare nessuna piuma nera come una traccia della menzogna che la tua anima ha profferita!
"Lascia inviolata la mia solitudine! Sgombra il busto sopra la mia porta!"
Disse il corvo: "Mai più".

E il corvo, non svolazzando mai, ancora si posa, ancora è posato
sul pallido busto di Pallade, sovra la porta della mia stanza,
e i suoi occhi sembrano quelli d'un demonio che sogna;
e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento,
e la mia, fuori di quest'ombra, che giace ondeggiando sul pavimento
non si solleverà mai più!
(Italian translation by Antonio Bruno )


Der Rabe

Edgar Allan Poe

Einst, um eine Mittnacht graulich, da ich trübe sann und traulich
müde über manchem alten Folio lang vergess'ner Lehr' -
da der Schlaf schon kam gekrochen, scholl auf einmal leis ein Pochen,
gleichwie wenn ein Fingerknochen pochte, von der Türe her.
"'s ist Besuch wohl", murrt' ich, "was da pocht so knöchern zu mir her -
das allein - nichts weiter mehr."
Ah, ich kann's genau bestimmen: im Dezember war's, dem grimmen,
und der Kohlen matt Verglimmen schuf ein Geisterlicht so leer.
Brünstig wünscht' ich mir den Morgen; - hatt' umsonst versucht zu borgen
von den Büchern Trost dem Sorgen, ob Lenor' wohl selig wär' -
ob Lenor', die ich verloren, bei den Engeln selig wär' -
bei den Engeln - hier nicht mehr.
Und das seidig triste Drängen in den purpurnen Behängen
füllt', durchwühlt' mich mit Beengen, wie ich's nie gefühlt vorher;
also daß ich den wie tollen Herzensschlag mußt' wiederholen:
"'s ist Besuch nur, der ohn' Grollen mahnt, daß Einlaß er begehr' -
nur ein später Gast, der friedlich mahnt, daß Einlaß er begehr'; -
ja, nur das - nichts weiter mehr."
Augenblicklich schwand mein Bangen, und so sprach ich unbefangen:
"Gleich, mein Herr - gleich, meine Dame um Vergebung bitt' ich sehr;
just ein Nickerchen ich machte, und Ihr Klopfen klang so sachte,
daß ich kaum davon erwachte, sachte von der Türe her -
doch nun tretet ein!" - und damit riß weit auf die Tür ich - leer!
Dunkel dort - nichts weiter mehr.
Tief ins Dunkel späht' ich lange, zweifelnd, wieder seltsam bange,
Träume träumend, wie kein sterblich Hirn sie träumte je vorher;
doch die Stille gab kein Zeichen; nur ein Wort ließ hin sie streichen
durch die Nacht, das mich erbleichen ließ: das Wort "Lenor'?" so schwer -
selber sprach ich's, und ein Echo murmelte's zurück so schwer:
nur "Lenor'!" - nichts weiter mehr.
Da ich nun zurück mich wandte und mein Herz wie Feuer brannte,
hört' ich abermals ein Pochen, etwas lauter denn vorher.
"Ah, gewiß", so sprach ich bitter, "liegt's an meinem Fenstergitter;
Schaden tat ihm das Gewitter jüngst - ja, so ich's mir erklär', -
schweig denn still, mein Herze, laß mich nachsehn, daß ich's mir erklär!: -
's ist der Wind - nichts weiter mehr!"
Auf warf ich das Fenstergatter, als herein mit viel Geflatter
schritt ein stattlich stolzer Rabe wie aus Sagenzeiten her;
Grüßen lag ihm nicht im Sinne; keinen Blick lang hielt er inne;
mit hochherrschaftlicher Miene flog empor zur Türe er -
setzt' sich auf die Pallas-Büste überm Türgesims dort - er
flog und saß - nichts weiter mehr.
Doch dies ebenholzne Wesen ließ mein Bangen rasch genesen,
ließ mich lächelnd ob der Miene, die es macht' so ernst und hehr;
"Ward Dir auch kein Kamm zur Gabe", sprach ich, "so doch stolz Gehabe,
grauslich grimmer alter Rabe, Wanderer aus nächtger Sphär' -
sag, welch hohen Namen gab man Dir in Plutos nächtger Sphär'?"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
Staunend hört' dies rauhe Klingen ich dem Schnabel sich entringen,
ob die Antwort schon nicht eben sinnvoll und bedeutungsschwer;
denn wir dürfen wohl gestehen, daß es keinem noch geschehen,
solch ein Tier bei sich zu sehen, das vom Türgesimse her -
das von einer Marmor-Büste überm Türgesimse her
sprach, es heiße "Nimmermehr."
Doch der droben einsam ragte und dies eine Wort nur sagte,
gleich als schütte seine Seele aus in diesem Worte er,
keine Silbe sonst entriß sich seinem düstren Innern, bis ich
seufzte: "Mancher Freund verließ mich früher schon ohn' Wiederkehr -
morgen wird er mich verlassen, wie mein Glück - ohn' Wiederkehr."
Doch da sprach er, "Nimmermehr!"
Einen Augenblick erblassend ob der Antwort, die so passend,
sagt' ich, "Fraglos ist dies alles, was das Tier gelernt bisher:
's war bei einem Herrn in Pflege, den so tief des Schicksals Schläge
trafen, daß all seine Wege schloß dies eine Wort so schwer -
daß all seiner Hoffnung Lieder als Refrain beschloß so schwer
dies 'Nimmer - nimmermehr.'"
Doch was Trübes ich auch dachte, dieses Tier mich lächeln machte,
immer noch, und also rollt' ich stracks mir einen Sessel her
und ließ die Gedanken fliehen, reihte wilde Theorien,
Phantasie an Phantasien: wie's wohl zu verstehen wär' -
wie dies grimme, ominöse Wesen zu verstehen wär',
wenn es krächzte "Nimmermehr."
Dieses zu erraten, saß ich wortlos vor dem Tier, doch fraß sich
mir sein Blick ins tiefste Innre nun, als ob er Feuer wär';
brütend über Ungewissem legt' ich, hin und her gerissen,
meinen Kopf aufs samtne Kissen, das ihr Haupt einst drückte hehr -
auf das violette Kissen, das ihr Haupt einst drückte hehr,
doch nun, ach! drückt nimmermehr!
Da auf einmal füllten Düfte, dünkt' mich, weihrauchgleich die Lüfte,
und seraphner Schritte Klingen drang vom Estrich zu mir her.
"Ärmster", rief ich, "sieh, Gott sendet seine Engel Dir und spendet
Nepenthes, worinnen endet nun Lenor's Gedächtnis schwer; -
trink das freundliche Vergessen, das bald tilgt, was in Dir schwer!"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
"Ah, Du prophezeist ohn' Zweifel, Höllenbrut! Ob Tier, ob Teufel -
ob Dich der Versucher sandte, ob ein Sturm Dich ließ hierher,
trostlos, doch ganz ohne Bangen, in dies öde Land gelangen,
in dies Haus, von Graun umfangen, - sag's mir ehrlich, bitt' ich sehr -
gibt es- gibt's in Gilead Balsam? - sag's mir - sag mir, bitt' Dich sehr!"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
"Ah! dann nimm den letzten Zweifel, Höllenbrut - ob Tier, ob Teufel!
Bei dem Himmel, der hoch über uns sich wölbt - bei Gottes Ehr' -
künd mir: wird es denn geschehen, daß ich einst in Edens Höhen
darf ein Mädchen wiedersehen, selig in der Engel Heer -
darf Lenor', die ich verloren, sehen in der Engel Heer?"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
"Sei denn dies Dein Abschiedszeichen", schrie ich, "Unhold ohnegleichen!
Hebe Dich hinweg und kehre stracks zurück in Plutos Sphär'!
Keiner einz'gen Feder Schwärze bliebe hier, dem finstern Scherze
Zeugnis! Laß mit meinem Schmerze mich allein! - hinweg Dich scher!
Friß nicht länger mir am Leben! Pack Dich! Fort! Hinweg Dich scher!"
Sprach der Rabe, "Nimmermehr."
Und der Rabe rührt' sich nimmer, sitzt noch immer, sitzt noch immer
auf der bleichen Pallas-Büste überm Türsims wie vorher;
und in seinen Augenhöhlen eines Dämons Träume schwelen,
und das Licht wirft seinen scheelen Schatten auf den Estrich schwer;
und es hebt sich aus dem Schatten auf dem Estrich dumpf und schwer
meine Seele - nimmermehr.
German translation by Hans Wollschläger
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J.R.WARD : Father Mine 3° e 4° Capitolo

3 ° CAPITOLO

La casa era lontana dalla strada sterrata e circondata da grossi
cespugli e alberi frondosi ricoperti di foglie marroni.
L’architettura della cosa era un miscuglio di vari stili e l’unico
elemento che li univa era il fatto che erano stati tutti riprodotti
malamente. Aveva un tetto tipo Cape Cod, ma era a un solo piano
come un ranch; aveva colonne sul porticato come una casa
coloniale ma era rivestita di plastica come una roulotte; era
piantata sulla sua piazzola come un castello eppure aveva la stessa
dignità di un cassonetto ammaccato.
Oh, ed era dipinta di verde. Tipo, verde pisello.
Vent’anni prima probabilmente il posto era stato costruito da un
uomo di città dotato di cattivo gusto che cercava di rifarsi una vita
nei panni del gentiluomo di campagna. Adesso tutto era lasciato
andare, tranne per una cosa: la porta era fatta di acciaio
inossidabile, splendente e fresca come una rosa, e rinforzata tipo
quelle che puoi trovare nei reparti psichiatrici o in prigione.
E sulle finestre erano inchiodate delle assi di legno.
Z si accucciò dietro la carcassa arrugginita di quella che era stata una Trans Am dell’92 e rimase in attesa che le nuvole si addensassero e coprissero la luna tanto da permettergli di muoversi. Dall’altro lato del giardino invaso dalle erbacce e del
vialetto ricoperto di ghiaia, Rhage aspettava dietro una quercia.
Davvero l’unico albero abbastanza grande per nascondere il
figlio di puttana.
La Fratellanza aveva scoperto il posto la notte prima per pura
fortuna. Z era in centro città a perlustrare il parco d’aghi sotto i
ponti di Caldwell quando aveva beccato un paio di scagnozzi
intenti a gettare un corpo nel fiume Hudson. I due si erano disfatti
del cadavere in modo veloce e professionale: una berlina anonima

si era avvicinata, due ragazzi con felpe nere con cappuccio erano

scesi e si erano diretti al bagagliaio, il corpo preso per le spalle e
le gambe, i resti buttati nella corrente.
Splish, splash, a farsi un bagno.
Z si era trovato a quasi tre metri di distanza più in giù lungo il
fiume, così quando il morto era passato galleggiando, aveva visto
dalla smorfia sulla bocca che si trattava di un maschio umano.
Normalmente questo sarebbe stato la causa per non fare
assolutamente niente. Se qualcuno si era ritrovato in una scena del
Padrino, non erano certo affari della Fratellanza.
Ma il vento aveva cambiato direzione e gli aveva portato una
zaffata di qualcosa di dolce come zucchero filato.
C’erano solo due cose che Z conosceva con quell’odore e che
camminassero eretti: le vecchiette e il nemico della sua razza.
Considerando che era improbabile che Berry White e Bea Arthur
fossero sotto quei cappucci a dare sfogo al proprio lato Tony
Soprano, allora voleva dire che c’erano due lessers
poco più su.

Quindi la faccenda era decisamente sulla lista delle cosa da fare di
Z.
Con perfetto tempismo, la coppia di cacciatori si mise a litigare.

Mentre finivano naso contro naso scambiandosi qualche spinta e
qualche colpo, Z si smaterializzarò accanto al pilone più vicino
alla berlina. La targa sul quel catorcio di Impala era 818 NPA, e
non sembrava esserci nessun altro passeggero né della varietà
stecchiti né di quella vivi.
In un batter d’occhio, Z si smaterializzarò di nuovo, questa volta
sul tetto del magazzino che fiancheggiava il fiume. Dalla sua
posizione strategica, attese con il telefono attaccato all’orecchio e
una linea aperta con Qhuinn, puntellandosi contro le folate di
vento che salivano dal culo dell’edificio.
I lessers di solito non uccidevano gli umani. Era una perdita di
tempo, per un verso, perché non ti faceva guadagnare punti con
l’Omega, e un mucchio di problemi se venivi preso, per l’altro.

Detto questo, se qualcuno vedeva qualcosa che non avrebbe

dovuto, i cacciatori non avrebbero esitato a spedirlo verso la sua
ricompensa eterna.
Quando l’Impala finalmente uscì da sotto il ponte, svoltò a destra
e si diresse lontano dal centro città. Z parlò al telefono, e un
momento dopo emerse un Hummer nero proprio da dove l’Impala
era uscita.
Qhuinn e John Matthew stavano passando la serata libera con
Blay allo Zerosum, ma quei ragazzi erano sempre pronti
all’azione. Non appena Z aveva chiamato, i tre erano corsi verso
l’auto nuova di pacca di Qhuinn, che era stata parcheggiata a un
isolato e mezzo di distanza.
Secondo le istruzioni di Z, i ragazzi avevano messo a tavoletta
per raggiungere la berlina. Mentre si avvicinavano, Z teneva
d’occhio i lessers, dematerializzandosi dalla cima di un edificio
all’altro mentre i pezzi di merda proseguivano lungo la riva del
fiume. Ringraziando la fottuta fortuna, i cacciatori non entrarono
in autostrada o sarebbero potuti sfuggire.
Qhuinn aveva delle doti dietro il volante e una volta che
l’Hummer si fu attaccato al SUV in modo affidabile, Z smise di
fare l’Uomo Ragno e lasciò i ragazzi a fare il loro lavoro. Dopo
circa quindici chilometri, Rhage diede loro il cambio con la sua
GTO giusto per confondere le acque e ridurre il rischio che i
lessers si rendessero conto di essere pedinati.
Appena prima dell’alba, Rhage li aveva seguiti fino a questo
posto, ma era stato troppo tardi per qualunque tipo di infiltrazione.
Stasera era il seguito. Alla grande.
E guarda, l’Impala se ne stava bella bella sul vialetto.
Quando le nuvole fecero finalmente la loro parte, Z diede il
segnale a Hollywood e i due si dematerializzarono ai lati della
porta d’ingresso. Un breve ascolto rivelò discussione in corso, le
voci erano le stesse che Z aveva sentito vicino al fiume Hudson la

notte precedente. Evidentemente la coppia era ancora allo stadio

acqua e olio.
Tre, due…uno…
Rhage aprì la porta con un calcio tanto forte che l’anfibio lasciò
un’ammaccatura sul pannello di metallo.
I due lessers nella stanza si girarono e Z non diede loro neanche
una possibilità di reagire. La canna della sua SIG ad aprire la
strada, Z li prese entrambi in pieno petto e i proiettili li fecero
girare come trottole.
Rhage ci andò giù col pugnale, saltando in avanti e colpendo
prima uno e poi l’altro. Quando i lampi di luce bianca e i forti
suoni scemarono, il fratello saltò in piedi e si immobilizzò come
una statua.
Né Z né Rhage si mossero. Usando i loro sensi, passarono al
setaccio il silenzio della casa, in cerca di qualunque cosa
suggerisse altri inquilini.
Il lamento che gorgogliò in tutta quella quiete proveniva dal
retro, e Z si mosse velocemente verso il suono, canna della pistola
sempre per prima. In cucina la porta della cantina era aperta, e Z si
smaterializzarò sulla sua sinistra. Con un movimento veloce della
testa diede un’occhiata giù per le scale. Sul fondo una lampadina
nuda pendeva dai cavi rossi e neri, ma la pozza di luce non
mostrava altro che assi del pavimento macchiate.
Z usò la propria volontà per spegnere la luce giù in basso e
Rhage gli assicurò copertura mentre Z bypassava gli scalini
malfermi e si dematerializzava nell’oscurità.
Al piano di sotto Z sentì l’odore del sangue fresco e alla sua
sinistra udì il rumore ritmico dei denti che battono.
Usò la propria volontà per riaccendere la luce…e rimase senza
fiato.
Un vampiro civile era legato mani e piedi ad un tavolo. Era nudo
e ricoperto di lividi. Invece di guardare Z, chiuse forte gli occhi,

come se non potesse sopportare di sapere quello che stava per

raggiungerlo.
Per un momento Z non riuscì a muoversi. Era il suo personale
incubo in technicolor, e la realtà si distorse tanto che non fu più
sicuro se chi era legato al tavolo fosse lui stesso o il ragazzo che
era venuto a salvare.
“Z?” disse Rhage dal piano di sopra. “C’è niente lì?”
Z si riscosse e si schiarì la gola. “Ci sono.”
Mentre si avvicinava al civile, disse piano nella Lingua Antica,
“Stai calmo.”
Gli occhi del vampiro si spalancarono e la testa scattò in avanti.
Nello sguardo ci fu incredulità e poi sorpresa.
“Stai calmo.” Z controllò due volte gli angoli del seminterrato, la
vista penetrava l’oscurità in cerca di segni di un sistema di
sicurezza. Tutto ciò che vide fu un mucchio di pareti di cemento e
pavimenti di legno, insieme a vecchie tubature e cavi che
serpeggiavano sul soffitto. Nessun occhio elettronico o nuove
fonti di energia.
Erano da soli e non controllati, ma solo Dio sapeva per quanto
ancora. “Rhage, ancora campo libero?” urlò su per la scala.
“Libero!”
“Un civile.” Z fece una stima del corpo dell’uomo. Era stato
picchiato e anche se non sembrava avere nessuna ferita aperta, non
c’era modo di stabilire se fosse in grado di smaterializzarsi.
“Chiama i ragazzi in caso avessimo bisogno di trasporto.”
“Già fatto.”
Z fece un passo avanti…
Il pavimento si frantumò sotto i suoi piedi, spaccandosi proprio
sotto di lui.
Mentre la gravità lo acciuffava con forza e con mani bramose e
lui precipitava in caduta libera, tutto quello a cui riusciva a
pensare era Bella. A seconda di ciò che giaceva sul fondo, questo
avrebbe potuto essere…

Atterrò su qualcosa che si frantumò all’impatto, schegge di

qualunque cosa fosse gli lacerarono i pantaloni di pelle e le mani
prima di rimbalzare e tagliargli il viso e il collo. Mantenne la prese
sulla pistola perché era stato addestrato a farlo, e perché la fitta di
dolore gli fece contrarre i muscoli dalla testa ai piedi.
Gli ci volle qualche respiro profondo prima di riuscire a riavviare
il cervello e a fare la stima dei danni.
Mentre si sedeva lentamente, il suono dei pezzi di vetro che
cadevano sul pavimento di pietra gli echeggiò intorno. Nel cerchio
di luce che scendeva dalla cantina sopra di lui, Z vide che era
seduto nel bel mezzo di un caleidoscopio di cristalli lucenti…
Era caduto su un lampadario grosso quanto un letto.
E il suo piede sinistro era girato all’indietro.
“Cazzo.”
La parte bassa della gamba rotta cominciò a martellare di dolore,
facendogli pensare che se solo non avesse guardato la dannata
cosa, forse avrebbe continuato a non sentire nulla.
Il viso di Rhage spuntò oltre l’orlo del buco frastagliato. “Tutto
okay?”
“Libera il civile.”
“È tutto a posto?”
“La gamba è andata.”
“Andata come?”
“Beh, sto guardando il tacco dell’anfibio e il davanti del
ginocchio allo stesso tempo. E c’è una buona probabilità che stia
per vomitare.” Deglutì con forza, cercando di convincere il
proprio riflesso faringeo a darsi una calmata. “Libera il civile e poi
vedremo come tirarmi fuori di qui. Oh, e rimani sulle file di chiodi
del pavimento. Chiaramente le tavole sono fragili.”
Rhage annuì, poi sparì. Mentre passi pesanti facevano cadere
nuvole di polvere, Z mise una mano nella giacca e tirò fuori la
Maglite. La cosa era grossa come un dito ma poteva emanare un
raggio di luce potente come quello dei fanali di un’auto.

Mentre faceva scorrere la cosa in giro, il problema alla gamba lo

infastidiva un po’ meno. “Che…diavolo?”
Era come stare in una tomba egizia. La stanza misurava dodici
metri per lato e traboccava di oggetti che luccicavano, dai quadri a
olio nelle cornici dorate ai candelabri d’argento, dalle statue
rivestite di pietre preziose a interi mucchi di posateria d’argento. E
dall’altra parte della stanza erano accatastate casse che
probabilmente contenevano gioielli, e c’era un fila di circa
quindici valigette di metallo che dovevano essere piene di soldi.
Era un magazzino del saccheggio, riempito con quello che era
stato portato via durante le razzie dell’estate. Tutta quella merda
era appartenuta alla glymera, Z riuscì perfino a riconoscere i volti
in qualcuno dei dipinti.
Un sacco di cose di valore lì sotto. E guarda. Sulla destra, vicino
al pavimento in terra battuta, una luce rossa cominciò a
lampeggiare. La sua caduta aveva fatto scattare il sistema
d’allarme.
La testa di Rhage rispuntò. “Il civile è libero, ma non riesce a
smaterializzarsi. Qhuinn è a meno di un chilometro da qui. Su che
cazzo sei seduto?”
“Un lampadario, e non è neanche la metà della storia. Senti,
stiamo per ricevere compagnia. Sto posto è collegato a un
impianto d’allarme e io l’ho fatto scattare.”
“C’è una scala per venire lì?”
Z si tolse il sudore causato dal dolore passandosi una mano sulla
fronte, la merda era fredda e unta sul dorso della mano
insanguinata. Dopo aver fatto girare la luce intorno, scosse la
testa. “Non ne vedo nessuna, ma devono avere portato il bottino
qui in qualche modo, e sicuro come l’inferno che non è stato
attraverso il pavimento.”
La testa di Rhage si alzò di scatto e il fratello aggrottò la fronte.
Il suono di lui che sfoderava il pugnale era un sospiro di

anticipazione di metallo contro metallo. “Questo o è Qhuinn o è

un cacciatore. Togliti dalla luce mentre sistemo la faccenda.”
Hollywood sparì dal buco nel pavimento, i suoi passi adesso un
quieto sussurro.
Z rimise la pistola nella fondina perché doveva farlo, e tolse
alcuni frammenti di cristallo. Portando il culo giù sul pavimento,
fece leva con il piede buono e sgattaiolò nell’oscurità, diretto
verso la luce di sicurezza. Dopo aver portato il culo vicino alla
dannata cosa, visto che era l’unico spazio vuoto che riusciva a
vedere tra i mucchi di arte e argento, si sistemò contro il muro.
Quando il piano di sopra rimase decisamente troppo tranquillo,
capì che non era Qhuinn con i ragazzi. Eppure non c’era nessun
suono di lotta.
E poi la merda passò da brutta a pessima.
Il “muro” su cui stava appoggiato scivolò via e lui cadde di schiena …ai piedi di un paio di incazzati lessers
dai capelli 
bianchi.

4°  CAPITOLO


C’erano un sacco di cose positive nell’essere una mamma.

Tenere tra le braccia i tuoi piccoli e cullarli fino a farli
addormentare era decisamente una di quelle. Così come piegare i

loro vestitini. E nutrirli. E vederli mentre ti guardano con gli occhi

pieni di felicità e di sorpresa appena svegli.

Bella cambiò posizione sulla sedia a dondolo, rimbocco la

coperta sotto il mento di sua figlia, e accarezzò piano la guancia di

Nalla.

Un corollario non tanto bello della maternità, però, era che tutta
la cosa dell’intuito femminile era super intensificata.

Seduta al sicuro nella residenza della Fratellanza, Bella sapeva
che qualcosa non andava. Anche se lei era al sicuro, in una

nursery che veniva dritta da un articolo intitolato “La famiglia

perfetta abita qui”, era come se ci fosse uno spiffero che aleggiava

per la stanza e puzzava di puzzola morta. E anche Nalla aveva

ricevuto quella sensazione. La bimba era stranamente tranquilla e

tesa, gli occhi gialli erano focalizzati in un qualche punto mediano

come se stesse aspettando lo scoppio di un rumore forte.

Naturalmente, il problema con l’intuito, legato alla maternità o
meno che fosse, è che si trattava di una storia senza parole e senza
tempo. Anche se ti fa essere pronta per le cattive notizie, non ci

sono nomi o verbi che si uniscano all’ansia, nessun timbro con la

data e l’ora. Così mentre te ne stai seduta con la paura attaccata al

collo come un freddo straccio bagnato, la tua mente deve

razionalizzare perché quello è il meglio che chiunque possa fare.

Forse era solo il Primo Pasto che le era rimasto sullo stomaco.

Forse era solo ansia passeggera.

Forse…
Diavolo, forse quello che le contorceva le budella non era affatto
intuizione. Forse era dovuto al fatto che aveva raggiunto una

decisione che non le andava giù.

Sì, quella era la causa più probabile. Dopo averci rimuginato
sopra e aver sperato ed essersi preoccupata e aver cercato di

pensare a un modo per uscire dalla situazione con Z, doveva

essere realistica. L’aveva affrontato…e non c’era stata alcuna vera

risposta da parte sua.

Nessun voglio che voi due rimaniate qui. Neanche ci proverò.
Tutto quello che aveva ottenuto da lui era che sarebbe uscito per

combattere.

Che era una specie di risposta, vero?
Guardandosi intorno nella nursery, Bella fece l’elenco delle cose
che avrebbe portato via…non molto, giusto una borsa con le cose

di Nalla e una sacca per lei. Poteva procurarsi un altro cestino per

i pannolini e una culla e un fasciatoio abbastanza facilmente…

Dove sarebbe andata?
La soluzione più semplice era una delle case di suo fratello.
Rehvenge ne aveva parecchie, e tutto quello che doveva fare era

chiedere. Cavolo, quanto era ironico? Dopo aver lottato per

allontanarsi da lui, adesso stava prendendo in considerazione

l’idea di tornare.

Non prendendo in considerazione. Decidendo.
Bella si sporse da un lato, prese il cellulare dalla tasca dei jeans e
chiamò Rehv.

Dopo due squilli, una voce profonda e familiare rispose, “Bella?”
C’era il rumore della musica e si sentiva la gente parlare in

sottofondo, i suoni che fa una folla che compete per lo spazio.

“Ciao.”
“Pronto? Bella? Aspetta un momento, fammi andare nel mio
ufficio.” Dopo una lunga pausa rumorosa, il chiasso si interruppe

di colpo. “Ehi, come state tu e il piccolo miracolo?”

“Ho bisogno di un posto dove stare.”
Silenzio totale. Poi suo fratello disse, “Sarebbe per tre o per
due?”

“Due.”
Un’altra lunga pausa. “Devo ucciderlo quel pazzo bastardo?”
La note fredda e crudele la spaventò un po’, facendole ricordare
che il suo adorato fratello non era un uomo con cui volevi metterti

a cazzaggiare. “Dio, no.”

“Parla, sorella mia. Dimmi cosa sta succedendo.”
La morte era un pacchetto nero che aveva un sacco di forme, pesi

e misure. Comunque, era il genere di cosa che quando ti arriva

sulla porta, ne conosci il mittente senza bisogno di controllare

l’indirizzo o di aprire il pacchetto.

Lo sai e basta.
Mentre Z si ritrovava con la schiena a terra sulla strada di quei
due lessers, sapeva che questo pacchetto era arrivato per corriere

espresso, e l’unica cosa che gli attraversò la mente fu che non era

pronto per riceverlo.

Ovvio, non era il tipo di cosa per cui puoi rifiutarti di firmare.
Sopra di lui, illuminati da una qualche debole luce, i lessers si
immobilizzarono come se lui fosse stata l’ultima cosa che si erano

aspettati di vedere. Poi tirarono fuori le pistole.

Z non aveva un’ultima parola; aveva un’ultima immagine, una
che eclissò completamente l’azione a doppia canna che gli si

parava diritta in faccia. Nella sua mente vide Bella e Nalla insieme

sulla sedia a dondolo nella nursery. Non era un’immagine della

notte precedente quando c’erano stati fazzolettini e occhi arrossati

e il suo gemello con un’espressione seria. Era di un paio di

settimane prima, quando Bella era rimasta a fissare la piccola tra

le sue braccia con una tale tenerezza e amore. Come se l’avesse

percepito sulla porta, Bella aveva alzato gli occhi e per un

momento l’amore che aveva negli occhi aveva avvolto anche lui.

Due colpi di pistola risuonarono, e la cosa più strana fu che

l’unico dolore che avvertì fu quello provocato dal rumore nelle

sue orecchie.

Seguirono due rumori di caduta, che echeggiarono contro le
ricchezze rubate.

Z alzò la testa. Qhuinn e Rhage stavano in piedi proprio dietro a
dove si erano trovati i lessers, le pistole che si abbassavano. Blay

e John Matthew erano con loro, anche le loro armi spianate.

“Tutto okay?” chiese Rhage.
No. Quello sarebbe stato un grosso grasso peloso cazzo no. “Sì.

Sì, sono a posto.”

“Blay, torna nel tunnel con me,” disse Rhage. “John e Qhuinn,
voi state qui con lui.”

Z lasciò ricadere la testa e ascoltò due paia di anfibi allontanarsi.
Nello strano silenzio che seguì, un’ondata di nausea lo attraversò e

ogni centimetro del suo corpo cominciò a tremare, le mani

sbattevano come bandiere in un forte vento mentre le portava al

viso per controllarlo.

La mano di John gli toccò un braccio e Z fece un salto. “Sto
bene…sto bene…”

John con i gesti disse, Ti porteremo fuori di qui.
“Come…” Z si schiarì la gola. “Come faccio a sapere che tutto
questo sta succedendo davvero?”

Scusami? Come fai a sapere…?
Zsadist si passò le dita sulla fronte mente cercava di trovare il
punto in cui i cacciatori avevano puntato le loro armi. “Come

faccio a sapere che tutto questo è reale? E non un… Come faccio

a sapere che non sono appena morto?”

John lanciò un’occhiata a Qhuinn dietro di lui come se non
avesse idea di cosa rispondere e stesse cercando un sostegno. Poi

si batté un pugno sul petto con un colpo solido. Io so che sono qui.

Qhuinn si abbassò e fece lo stesso, un pesante suono basso

provenne dal suo torace. “Anch’io.”

Zsadist lasciò di nuovo cadere la testa, il suo corpo tremava così
tanto che i piedi sembravano fare il tip-tap sul pavimento di terra

battuta. “Non lo so…se questo è reale…oh, merda…”

John lo fissò come a misurare la sua crescente agitazione e
cercando di capire che diavolo fare.

All’improvviso il ragazzo allungò una mano verso la gamba rotta
di Z e diede all’anfibio girato al contrario un deciso strattone.

Z scattò seduto e abbaiò, “Figlio-di-puttana!”
Ma andava bene. Il dolore agì come un grosso colpo di spugna

sul suo cervello, togliendo le ragnatele delle visioni e

sostituendole con una chiarezza focalizzata e martellante.

Era decisamente vivo. Lo era davvero.
Quella realizzazione fu seguita da vicino dal pensiero di Bella.
E Nalla.
Doveva raggiungerle.
Z si spostò di lato per prendere il telefono, ma la sua vista
divenne sfocata da quello che stava facendo alla gamba. “Merda.

Puoi prendere il mio telefono? Nella tasca di dietro?”

John lo fece rotolare con cautela, tirò fuori il RAZR e glielo
passò.

“Quindi non credi che ci sia il modo per sistemare sta cosa?”
disse Rehv.

Bella scosse la testa in risposta alla domanda di suo fratello, poi
si ricordò che lui non poteva vederla. “No, non credo. Almeno non

nel breve periodo.”

“Merda. Beh, io sono sempre qui per te, questo lo sai. Vuoi stare
con mahmen?”

“No. Voglio dire, sono contenta quando viene a trovarmi durante
la notte, ma ho bisogno del mio spazio.”

“Perché speri che lui venga a cercarti.”
“Non lo farà. Questa volta è diverso. Nalla…ha reso tutto diverso.”
La piccola tirò su col naso e si rintanò più vicina nel suo angolo
preferito tra l’avambraccio e il seno. Bella tenne fermo il telefono

con la spalla e accarezzò i capelli morbidi come piume che le

stavano crescendo. I riccioli, quando fossero cresciuti, sarebbero

stati multicolori, con ciocche bionde e rosse e castane tutte

mescolate insieme, proprio come quelli del padre se non li avesse

tenuti sempre rasati.

Mentre Rehv rideva imbarazzato, Bella disse, “Cosa?”

“Dopo tutti questi anni a lottare per tenerti sulla mia proprietà,
adesso non voglio che tu te ne vada dalla residenza della

Fratellanza. Sul serio, niente è più sicuro di quel posto…ma ho

una casa vicino al fiume Hudson che è sicura. È vicina a dove vive

una mia amica, non è niente di straordinario, ma c’è un tunnel che

unisce le due proprietà. Lei ti terrà al sicuro.”

Dopo che le ebbe dato l’indirizzo, Bella mormorò, “Grazie.
Metterò in valigia alcune cose e chiederò a Fritz di portarmi lì fra

un’ora.”

“Ti farò riempire subito il frigo.”
Il telefono fece un bip quando arrivò un messaggio. “Grazie.”
“Glielo hai detto?”
“Z sa cosa sta per capitare. E no, non gli impedirò di vedere
Nalla se lo vuole, ma deve essere lui a decidere di venire a

vederla.”

“E tu?”
“Lo amo…ma tutto questo è stato davvero difficile per me.”
Terminarono la telefonata poco dopo, e mentre spostava
 il telefono lontano dall’orecchio, Bella vide che c’era un messaggio
di Zsadist:

MI DISPIACE. TI AMO. PER FAVORE PERDONAMI…NON
POSSO VIVERE SENZA DI TE.

  
Bella si morse un labbro e sbatté forte le palpebre. E gli mandò
un messaggio.




Prossimo lunedì verranno pubblicati i cap. 5 e 6